Importanza morfofunzionale delle meningi
Localizzate tra le componenti del sistema nervoso centrale (midollo spinale ed encefalo) e le strutture ossee che le contengono (colonna vertebrale e cranio), le meningi sono costituite da tre membrane di rivestimento
adiacenti e sovrapposte che, dall’esterno verso l’interno, sono denominate:
- dura madre (esterna);
- aracnoide (intermedia);
- pia madre (interna).
Le delicatissime strutture del sistema nervoso centrale, che sono il cervello e il midollo spinale, sono formati da neuroni e fibre nervose di consistenza molle e che pertanto devono essere protette dalla componente rigida dell’apparato osteo-articolare.

Il significato anatomico delle meningi è quello di evitare che si possano verificare degli sfregamenti tra le parti del SNC e le pareti ossee, eliminando quindi qualsiasi rischio di attrito.
Le tre membrane meningee assolvono pertanto alla fondamentale funzione di protezione e di contenimento.
Costituite quasi completamente da tessuto connettivo, questi foglietti rivestono internamente sia la colonna vertebrale che il neurocranio a scopi protettivi.
Le meningi vengono denominate madri in rapporto alla loro funzione in parte destinata alla nutrizione del tessuto nervoso.
- Dura madre
È la più esterna delle tre, che si trova da un lato a diretto contatto con le formazioni ossee di cranio e vertebre e d’altro lato con l’aracnoide.
Dal punto di vista istologico essa è formata da un tessuto fibroso molto denso comprendente più strati di cellule appiattite, che conferiscono alla membrana sia spessore che resistenza.
Lungo la sua estensione sono localizzati importanti vasi arteriosi, oltre a una complessa rete di vene (seni durali) il cui ruolo è quello di portare verso il cuore tutto il sangue proveniente dall’encefalo e quindi povero d’ossigeno.
- La dura madre cerebrale presenta alcune differenze rispetto a quella spinale, dato che è dotata di un doppio strato lamellare, di cui quello esterno (dura madre periostale) si trova a contatto con le ossa del cranio, mentre quello interno (dura madre meningea) riveste la porzione esterna del cervello.
Nel complesso la sua morfologia presenta 4 pieghe di riflessioni derivanti dal suo adattamento alle circonvoluzioni encefaliche, che sono:
- falce cerebrale, che si interpone tra i due emisferi cerebrali;
- tentorio cerebellare, che separa il cervelletto dalla corteccia occipitale;
- falce del cervelletto, che si interpone tra i 2 emisferi cerebellari;
- diaframma della sella turcica, che ricopre ipofisi e sella turcica.
- La dura madre spinale, conosciuta anche come sacco durale, consiste in un lungo cilindro che inizia dalla fossa cranica posteriore e, dopo aver percorso l’intera colonna vertebrale, termina a livello della seconda vertebra sacrale (S2).
Essa presenta una lunghezza superiore a quella del midollo spinale in quanto deve proteggerlo completamente da eventuali attriti con i corpi vertebrali e non aderisce direttamente ai fori del canale vertebrale, ma rimane separata da uno spazio ricco di vasi sanguigni e di tessuto adiposo, denominato spazio peridurale (che è la sede dove vengono iniettati i farmaci in caso di anestesia epidurale).
A questo livello è presente un’innervazione derivante da branche e sotto-branche del nervo trigemino.
- Aracnoide
Interposta tra la dura madre (esternamente) e la pia madre (internamente), l’aracnoide appare trasparente e formata da un sottile tessuto fibroso a cellule appiattite che le garantiscono proprietà impermeabili.
Mentre superiormente essa è strettamente contigua alla dura madre, inferiormente presenta una separazione dalla pia madre denominata spazio sub aracnoideo.
Questo spazio è ripieno di liquor (liquido cefalo-rachidiano), consistente in un fluido con funzioni protettive nei confronti delle meningi, e di trabecole aracnoidi, che sono filamenti che intercorrono tra aracnoide e pia madre per mantenerle aderenti.
L’aracnoide presenta inoltre una serie di fori attraverso cui passano sia i nervi cranici che quelli spinali, insieme agli abbondanti vasi sanguigni, sia arteriosi che venosi.
Il liquido cefalo-rachidiano è un fluido biologico derivante dall’ultrafiltrazione del plasma sanguigno, che contiene prevalentemente leucociti e nessun eritrocita e che svolge compiti protettivi, nutritivi e regolatori sulla pressione endocranica.
- Pia madre
Essendo la più interna delle tre meningi, la pia madre è quella a diretto contatto con le strutture nervose del midollo spinale e dell’encefalo.
Si tratta di una struttura sottile e particolarmente delicata, in grado di adattarsi alle circonvoluzioni e ai solchi di cervello e cervelletto.
A livello circolatorio l’irrorazione sanguigna presente su questa meninge è costituita unicamente da arteriole e capillari, ovvero da vasi di piccole dimensioni; l’unione tra pia madre e aracnoide prende il nome di leptomeminge, una struttura che si caratterizza per specifici requisiti morfologici e funzionali.
La principale funzione delle meningi, come accennato, è quella protettiva, sia a livello del midollo spinale che dell’encefalo, nei confronti di traumi, contatto con sostanze tossiche, oppure insulti di varia natura.
Dal punto di vista clinico, le meningi sono coinvolte nella realizzazione di anestesia epidurale e spinale, che consentono l’introduzione di analgesici a livello dello spazio epidurale dello spazio spinale per eliminare la sensibilità dolorosa.
Patologie delle meningi
Le membrane meningee possono essere interessate da numerosi processi morbosi particolarmente rischiosi in quanto trasmissibili alle strutture del sistema nervoso centrale.
- Emorragia subaracnoidea: consiste nell’accumulo di sangue nello spazio compreso tra aracnoide e pia madre, che di solito si verifica in seguito a traumi cranici o aneurismi cerebrali.
- Ematoma subdurale: consiste in un versamento di sangue nello spazio compreso tra dura madre e aracnoide e provocato nella maggior parte dei casi da traumi cranici.
- Ematoma epidurale: prevede un accumulo di sangue nello spazio tra dura madre e cranio che anche in questo caso deriva da traumi di notevole intensità.
- Meningioma: è una neoplasia cerebrale derivante dalla proliferazione incontrollata di cellule delle meningi, si tratta di una forma benigna nel 90% dei casi.
- Meningite: comprende l’infiammazione delle meningi solitamente su base infettiva e causata da batteri (meningococco), da virus (enterovirus) e da miceti (Cryptococcus neoformans). Tra queste forme, la più pericolosa è quella meningococcica, responsabile di conseguenze potenzialmente permanenti sull’organismo o anche del decesso del paziente.
Meningite significato
Di natura virale, batterica o fungina, la meningite è un processo infiammatorio di natura infettiva di notevole gravità, la cui sintomatologia abbastanza caratteristica è accompagnata da episodi di febbre molto alta, con confusione psichica, cefalea e irrigidimento del collo.
Oltre a queste cause infettive, la patologia può essere occasionalmente provocata anche da cause irritative, come ad esempio lesioni fisiche, alcuni tipi di carcinomi cerebrali, l’assunzione di farmaci oppure malattie sistemiche di varia natura.
Sintomatologia della meningite
Il quadro sintomatologico di questa patologia non consente di identificarne l’agente infettante, dato che i sintomi sono per lo più comuni alle forme batteriche, virali oppure fungine.
Una distinzione molto utile dal punto di vista diagnostico è quella relativa all’età del paziente in quanto la meningite può colpire con frequenza elevata anche lattanti e bambini nella prima infanzia.
Questo fenomeno trova spiegazione nell’immaturità di sviluppo e quindi di funzionamento del sistema immunitario che nei primi mesi di vita è quasi inattivo.
Nei lattanti e nei bambini ad si sotto di 3 anni d’età questa patologia, che costituisce un forte pericolo per la salute, si manifesta con i seguenti sintomi:
- picchi febbrili molto alti, anche superiori a 40-41 gradi;
- brividi intensi e prolungati accompagnati da estremità fredde;
- pianto continuo, acuto e irrefrenabile, alternato a sopore;
- fotofobia;
- rigidità della muscolatura nucale;
- inarcamento della fontanella verso l’esterno (sintomo tipicizzante nei primi mesi di vita quando le ossa del cranio non si sono ancora saldate);
- crisi convulsive;
- estremo pallore della pelle.
Nei bambini sopra ai 3 anni d’età, negli adolescenti e negli adulti, il quadro sintomatologico si presenta differente, soprattutto per la diversa risposta immunitaria del loro organismo.
Il segnale più discriminante per una diagnosi certa è la presenza di cefalea persistente e di notevole intensità, di solito accompagnata da sonnolenza e rifiuto del cibo.
Dopo un esordio caratterizzato dai segni appena citati, il paziente presenta alcuni sintomi comuni con quelli del neonato, ovvero:
- picchi di febbre molto alta;
- rigidità nucale;
- pallore e fotofobia;
- crisi convulsive;
- nausea e vomito.
Il periodo d’incubazione prima della comparsa della sintomatologia dipende dalla natura dell’agente infettante: infatti le forme virali rimangono latenti per 3-6 giorni, mentre quelle batteriche si distinguono per un lasso di tempo che può arrivare fino a 10 giorni.
Diagnosi della meningite
Diagnosticare una meningite si rivela piuttosto difficile e di certo non immediato in quanto i suoi segnali hanno un andamento molto variabile e spesso comune a quelli di altre patologie meno gravi (almeno all’esordio) come l’influenza.
Un problema di notevole rilevanza per l’esito delle meningiti è quello legato alle tempistiche diagnostiche: infatti è proprio la tempestività a fare la differenza riguardo a questa malattia che può rivelarsi mortale.
Per il riconoscimento di una meningite è indispensabile fare ricorso a indagini sierologiche in quanto il solo esame obiettivo dei sintomi non è sufficiente; pertanto si rivela d’importanza vitale effettuare le analisi ematochimiche in grado di evidenziare la presenza dell’agente infettante nel sangue.
In alcuni casi è necessario ricorrere anche alla puntura lombare consistente nel prelevare una piccola quantità di liquido cefalorachidiano a livello delle vertebre lombari (L3-L4 oppure L4-L5).
L’analisi del liquor consente di identificare con certezza la tipologia del microrganismo responsabile dell’infezione (batterio, virus oppure micete) e la sua concentrazione.
Tenendo conto della localizzazione del liquido cefalorachidiano che si trova esattamente tra le meningi è chiaro che le sua analisi si rivela particolarmente mirata per scoprire con tempestività la natura del germe presente.
Alcuni test strumentali vengono richiesti sia per chiarire le conseguenze della malattia a livello del sistema nervoso centrale sia per ottenere un’ulteriore conferma sul tipo di agente scatenante (di solito già identificato con gli esami del sangue).
Questi test prevedono l’esecuzione di una TAC cerebrale con mezzo di contrasto, il cui ruolo è quello di mettere in rilievo eventuali aree colpite dalla malattia, e di una RX toracica per monitorare le condizioni dei polmoni, dato che tra i fattori eziologici della meningite c’é anche il pneumococco (batterio responsabile della polmonite).
Tipi di meningite
Dal punto di vista epidemiologico, le forme maggiormente studiate per l’elevato numero di individui colpiti sono quelle di meningite infettiva virale e batterica.
Meningite virale
Denominata anche meningite asettica, quella virale è la forma più comune e diffusa che di solito ha conseguenze meno pericolose.
Gli agenti patogeni responsabili di questa forma sono enterovirus ed herpesvirus: gli enterovirus si diffondono di norma tramite starnuti e tosse, mentre gli herpesvirus dipendono da infezioni latenti che possono trasmettersi al sistema nervoso in periodi di immunodeficienza del soggetto, tra questi i più comuni sono l’herpes genitale e quello labiale.
Fino alla diffusione della vaccinazione trivalente (anti-morbillo, anti-rosolia e anti-parotite), anche i virus responsabili di tali patologie potevano provocare vere e proprie epidemie di meningite asettica che andava a complicare notevolmente il quadro clinico.
L’agente eziologico più comune della malattia è l’enterovirus, un microrganismo che normalmente risiede nell’apparato intestinale e che diventa infettante soltanto quando il sistema immunitario è deficitario.
Altre cause possono essere il virus della varicella, gli arbovirus (trasmessi con le zanzare) e l’HIV.
Il virus dell’herpes genitale può provocare una forma di meningite settica che manifesta sintomi dovuti alla contemporanea infezione delle meningi e degli organi genitali.
Tutti questi virus si caratterizzano per la capacità di rimanere quiescenti anche per anni prima di ritornare attivi, contribuendo a provocare recidive di notevole gravità.
La diffusione della meningite virale, che è condizionata dal tipo di germe patogeno coinvolto, può verificarsi per diffusione ematica, per contatto con feci contaminate, in seguito a rapporti sessuali non protetti, per inalazione.
Particolare attenzione deve essere rivolta alle metodiche diagnostiche in quanto la rachicentesi (puntura lombare), nel caso di meningiti virali settiche, deve venire eseguita soltanto dopo avere avuto la certezza che la pressione endocranica non sia elevata, per evitare il rischio letale di ernia cerebrale.
Sul liquor si effettuano quindi specifiche indagini analitiche, come la tecnica delle polimerasi, utile per identificare la presenza di enterovirus e di herpes virus, generalmente affiancata dalle ricerca degli anticorpi specifici.
Nella maggior parte dei casi, la meningite virale non desta particolari preoccupazioni in quanto si risolve con trattamenti sintomatici (antifebbrili e antinfiammatori) e con farmaci immunostimolanti.
Come al solito è la reattività del sistema immunitario a condizionare l’evoluzione della malattia che spesso non viene neppure diagnosticata in quanto confusa con una normale sindrome influenzale.
Patologie virali di questo tipo richiedono un trattamento piuttosto semplice, che prevede un adeguato periodo di riposo assoluto affiancato dall’assunzione di analgesici per alleviare il dolore causato dalla cefalea.
Il paracetamolo si rivela uno dei preparati più efficaci sia dal punto di vista terapeutico (antinfiammatorio) che sintomatico (analgesico contro la cefalea).
La risoluzione dei sintomi di norma avviene in 5-14 giorni e la malattia non lascia nessun esito; soltanto in situazioni particolarmente impegnative può essere necessario l’impiego di farmaci antivirali .
Meningite fungina
Si tratta di forme piuttosto rare che sono provocate da forme di miceti e che si manifestano su pazienti gravemente debilitati il cui sistema immunitario non risulta reattivo.
La sua trasmissione, che avviene per contatto diretto con la persona infetta, attraverso l’emissione di goccioline di saliva oppure di secrezioni catarrali, è particolarmente elevata in ambienti chiusi.
Un importante fattore predisponente a questa patologia è rappresentato dall’assunzione di farmaci immunosoppressori che trovano impiego ad esempio dopo il trapianto di organi.
La sintomatologia di queste malattie non si discosta da quella delle altre forme di meningite e comprende:
- picchi di febbre molto elevata;
- vomito a getto non preceduto da nausea (sintomo discriminante);
- rigor nucalis particolarmente evidente;
- stato confusionale;
- comparsa di macchie rosse di piccole dimensioni sul tronco e sulla schiena.
Spesso queste forme infettanti sono associate all’AIDS e vengono provocate da particolari tipi di miceti, come Cryptococcus Neoformans.
La diagnosi richiede un’attenta analisi del liquor per la ricerca dei germi infettanti, che devono essere trattati terapeuticamente con farmaci antimicotici.
Meningite batterica
Poco frequente ma estremamente pericolosa, la meningite batterica può avere conseguenze permanenti se non letali sui pazienti.
Di solito i germi patogeni raggiungono le meningi attraverso uno dei due percorsi principali (sangue oppure contatto diretto tra le membrane meningee e la pelle).
Una volta penetrati nel flusso sanguigno, i batteri attaccano le meningi entrando nello spazio subaracnoideo attraverso i punti in cui la barriera emato-encefalica si presenta maggiormente vulnerabile, come ad esempio a livello del plesso coroideo.
Soltanto pochi batteri riescono a raggiungere questo spazio subaracnoideo, e tra essi la Neisseria Meningitidis, che realizza una penetrazione costante e prolungata.
Il meningococco Neisseria Meningitidis è infatti l’agente infettante responsabile della forma più grave e temuta di meningite; pur esistendo numerosi sottotipi di questo batterio, gli isotipi veramente pericolosi sono il meningococco A, B, C, il W135 e quello Y.
Probabilmente l’invasione batterica dipende da una stretta interazione con alcune cellule endoteliali cerebrali, mediata da appendici filamentose di natura proteica chiamate “pili”.
Come conseguenza si determina la formazione di microcolonie sulla superficie apicale cellulare a cui segue una patologica apertura delle giunzioni intercellulari.
La pia madre e l’aracnoide rappresentano i bersagli preferenziali del meningococco, dove il batterio è in grado di provocare un processo infiammatorio purulento improvviso ed acuto, che soltanto in alcuni casi si risolve positivamente.
Nella prima infanzia questa patologia si manifesta inizialmente come un’infezione a carico delle prime vie aeree, che potrebbe far pensare a una banale influenza.
Il tempo di incubazione del meningococco è compreso tra 24 e 48 ore, dopo le quali il paziente presenta un’improvvisa e incontenibile agitazione psicomotoria, un brusco calo della pressione arteriosa, picchi febbrili molto elevati, fotofobia, esteso dolore cervicale e nucale.
Il sintomo discriminante è rappresentato dalla rigidità dei muscoli del collo con episodi di vomito profuso; i bambini colpiti da questa malattia sviluppano frequentemente convulsioni ripetute che possono portare fino al coma e alla morte.
Un segnale che può essere indicativo si riferisce alla comparsa di lesioni cutanee emorragiche dall’aspetto di petecchie o di veri e propri ematomi, che sono collegabili alla sepsi fulminante di questo tipo di meningite.
La sintomatologia è particolarmente violenta e tende a manifestarsi in poche ore, richiedendo tempestivi interventi diagnostici e terapeutici per evitare il peggio.
Si parla di sepsi meningococcica quando il microrganismo si diffonde attraverso il sangue a tutto l’organismo; tale complicazione è presente in circa il 10% degli ammalati.
Tale condizione può essere sia fulminante che a lenta evoluzione, pertanto è necessario monitorare attentamente il paziente in rapporto all’evoluzione del quadro morboso.
Se si arriva a una fase troppo avanzata di setticemia, di solito è opportuno un ricovero in terapia intensiva, da associare a mirate terapie antibiotiche e cortisoniche, che possono alleviare in qualche modo la sintomatologia.
Il contagio avviene per via inalatoria attraverso la propagazione di goccioline di secrezione emesse dal naso o dal tratto orofaringeo, in occasione di colpi di tosse, starnuti o espirazione; anche il contatto con oggetti contaminati può provocare l’insorgenza della patologia.
I fattori predisponenti alla meningite meningococcica sono la giovane età (dalla nascita fino ai vent’anni circa), la mancanza di vaccinazione, l’immunosoppressione e la convivenza in ambienti ristretti e con scarse condizioni igieniche.
Questa forma di meningite colpisce prevalentemente i bambini in età inferiore ai cinque anni di vita, e soprattutto i lattanti.
La sindrome esordisce nella quasi totalità dei casi con un violento attacco di mal di testa e febbre molto alta, accompagnata da violenti brividi, da nausea e vomito e da intenso dolore muscolare.
Il segnale discriminante, che consiste nella rigidità nucale, può essere confuso con un semplice dolore articolare e pertanto è indispensabile valutarlo nella totalità dei sintomi.
La diagnosi viene effettuata mediante esame obiettivo conseguente a un’accurata visita medica e soprattutto tramite emocoltura, che consente di individuare la presenza del memingococco nel sangue dell’ammalato.
Di solito viene richiesta anche un’analisi del liquido cefalo-rachidiano, utilissima per confermare il quesito diagnostico, dato che i pazienti presentano elevate concentrazioni di Neisseria nel liquor.
Soprattutto nella primissima infanzia, questa malattia si presenta con caratteristiche di estrema gravità, che richiedono quasi sempre ricovero ospedaliero, spesso nel reparto di terapia intensiva.
Infatti, i pazienti devono essere monitorati costantemente e trattati con ventilazione meccanica polmonare, in quanto la diffusione del microrganismo impedisce i fisiologici scambi gassosi con l’esterno.
Un aspetto da curare con estrema competenza è quello relativo alla reidratazione, che si deve effettuare mediante somministrazioni di liquidi per via endovenosa.
I farmaci d’elezione sono gli antibiotici, associati ai corticosteroidi, che grazie alla loro sinergia funzionale consentono da un lato di eliminare la carica batterica e d’altro lato di minimizzare i processi infiammatori.
Se la terapia antibiotica risulta efficace fin da subito, la prognosi è positiva mentre nel caso in cui i farmaci non avessero effetto, aumentano moltissimo i rischi per la salute del paziente che deve comunque rimanere ricoverato anche per mesi in ospedale.
La prognosi della meningite menigococcica è strettamente collegata alla tempestività diagnostica, in quanto la diffusione del germe infettante ha caratteri esplosivi.
Soltanto dopo aver diagnosticato con certezza la malattia, è infatti possibile impostare un adeguato protocollo terapeutico che deve essere mirato e dosato con efficacia.
Tenendo conto del poco tempo disponibile per arginare efficacemente la diffusione del germe, si può facilmente dedurre il ruolo indispensabile della tempistica: in tutti i casi in cui si sospetta questa malattia, non bisogna perdere tempo ma recarsi immediatamente al pronto soccorso.
Tenendo conto della gravità della malattia e del fatto che essa colpisce di preferenza soggetti molto giovani se non addirittura lattanti, è facilmente intuibile l’importanza della prevenzione.
Attualmente sono disponibili specifici vaccini nei confronti della meningite da menigococco B, C, Y, A e W135.
Nel nostro paese viene raccomandata una terapia vaccinale contro menigococco B e C, in quanto sono questi due sottotipi ad essere i principali responsabili delle epidemie.
Meccanismo d’azione della meningite
La meningite, che consiste in un processo patogeno a carico delle meningi, consiste in un’infiammazione attribuibile almeno in parte alla risposta del sistema immunitario all’entrata dei batteri nel sistema nervoso centrale.
Come è noto, il SNC rappresenta un apparato indispensabile alla sopravvivenza che è in grado di controllare tutte le funzionalità dell’organismo.
Nel momento in cui un pericolo di qualsiasi genere si trova a minacciare questo sistema, immediatamente viene attivata un’adeguata risposta immunitaria.
Quando le cellule immunitarie dell’encefalo (microglia e astrociti) identificano i componenti della membrana cellulare dei batteri, immediatamente viene incentivata la produzione di citochine, il cui ruolo è quello di reclutare altri elementi immunitari attivi.
Come conseguenza si ha un aumento di permeabilità della barriera emato-encefalica, con formazione di un edema vasogenico cerebrale, consistente in un rigonfiamento del cervello per variazioni pressorie.
Una notevole quantità di leucociti migra nel liquido cefalorachidiano provocando così l’infiammazione delle meningi con formazione di edemi interstiziali, derivanti da un aumento di liquido intercellulare.
È possibile anche un’infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni, responsabile dell’insorgenza di vasculite cerebrale che provoca una netta diminuzione del flusso sanguigno.
L’edema cerebrale causa un aumento della pressione endocranica, che contribuisce ad ostacolare l’entrata del sangue nell’encefalo, impoverendo le cellule cerebrali di ossigeno.
Ecco perché la meningite batterica si rivela la forma più pericolosa di questa patologia, che rimane una delle principali cause di morte nella prima infanzia.
Il meccanismo d’azione di questa patologia può provocare una temutissima complicazione: la setticemia (sepsi), responsabile di un inevitabile peggioramento della prognosi.
Si tratta di una risposta infiammatoria sistemica che comporta gravi episodi di tachicardia e ipotensione, affanno respiratorio e picchi febbrili; in tali condizioni l’intero organismo viene coinvolto in una allarmante situazione di rischio per la sopravvivenza.
In particolare, la riduzione della pressione arteriosa può comparire precocemente soprattutto in caso di infezione da meningococco.
Un’altra potenziale complicanza della meningite è rappresentata dalla CID (Coagulazione Intravascolare Disseminata), in cui si verificano episodi di coagulazione del sangue dove in realtà non se ne presenta la necessità.
Da tale condizione derivano due disturbi: da un lato si verifica un’ostruzione del flusso ematico e d’altro lato un potenziamento del rischio di sanguinamento.
Nella meningite batterica può insorgere anche il pericolo di gangrena agli arti, derivante appunto da ostacoli al corretto flusso sanguigno.
A livello cerebrale è possibile l’insorgenza di un brusco aumento della pressione endocranica causata da un’infiammazione cerebrale; tenendo conto che il cervello non può espandersi in quanto è contenuto nella scatola cranica di natura ossea, ne derivano pericolosi esiti patologici.
Il rigonfiamento del parenchima cerebrale può essere responsabile di un processo di erniazione, con diminuzione del livello di coscienza e di interazione con la realtà esterna, perdita del riflesso pupillare e assunzione di una postura non anatomica.
In alcuni casi può verificarsi la comparsa di idrocefalo con episodi convulsivi.
Esami di laboratorio ed indagini strumentali
In caso di test di laboratorio che devono essere eseguiti contestualmente alla formulazione del quesito diagnostico, solitamente si parte con analisi del sangue comprendenti la proteina C reattiva e la VES, oltre che adeguati test colturali.
L’esame discriminante per diagnosticare con certezza la meningite rimane comunque quello del liquor, ottenuto attraverso la puntura lombare che consente di prelevare una piccola quantità di materiale cefalorachidiano.
Prima dell’esecuzione di questo test è opportuno sottoporre il paziente a una TAC con mezzo di contrasto oppure a una risonanza magnetica, per monitorare con precisione quali siano le condizioni del cervello.
Le indagini diagnostiche da effettuare in presenza di sospetta meningite devono essere tempestive e mirate al massimo grado per evitare pericolosi ritardi nell’avvio delle procedure terapeutiche.
Nella maggioranza dei casi, infatti, la somministrazione di un antibiotico ad ampio spettro viene effettuata già prima di avere i risultati delle analisi di laboratorio, proprio per cercare di contenere la diffusione del germe infettante.
Bisogna ricordare che sia batteri che virus e miceti trovano nel liquor un substrato ideale alla loro moltiplicazione e alla conseguente colonizzazione delle meningi.
Nelle forme più gravi della patologia vengono richiesti anche i dosaggi degli elettroliti nel sangue , in quanto in caso di meningite batterica si verificano di norma episodi di iponatriemia, con abbassamento della pressione arteriosa.
La puntura lombare, che si effettua sul paziente disteso su un fianco, consente di raccogliere il liquor a livello del sacco durale, che deve poi essere analizzato.
Quando l’aspetto del liquido appare torbido e colorato, significa che con buona probabilità è in atto una meningite batterica, responsabile della presenza di leucociti, eritrociti e proteine.
L’assenza di batteri non esclude l’ipotesi di una forma di questo genere in quanto i germi risultano visibili soltanto per il 60%, che si riduce al 20% qualora siano già state assunte dosi di antibiotico.
Il dilemma che si pone di fronte a un sospetto di meningite è relativo all’incertezza se aspettare i risultati degli esami prima di incominciare qualsiasi terapia (ma perdendo tempo prezioso per una prognosi positiva) oppure al contrario somministrare immediatamente un antibiotico in grado di alterare gli esiti delle indagini.
È chiaro che potendosi basare sui risultati della coltura biologica del campione si ha la certezza di prescrivere un farmaco mirato, ma bisogna essere consapevoli che il tempo per ottenere i risultati prevedono almeno 48 ore, un lasso di tempo piuttosto prolungato ai fini terapeutici.
Rimane quindi sempre aperto il dilemma se agire “alla cieca” utilizzando un antibiotico ad ampio spettro e non specifico per non perdere tempo, oppure aspettare per impostare una terapia adeguata e specifica, rischiando di perdere tempo prezioso.
In caso di meningite batterica i leucociti più abbondanti sono rappresentati dai neutrofili, la cui concentrazione viene evidenziata dalla formula leucocitaria.
Nelle forme virali invece prevalgono i linfociti.
La forma causata dal meningococco Neisseria Meningitidis si caratterizza per una diagnosi differenziale dovuta alla presenza di un rash petecchiale consistente in macchie rossastre di piccole dimensioni sparse per tutto il corpo.
Questa eruzione cutanea viene valutata come un segno discriminante.
Tenendo conto che la forma più diffusa (e anche più grave) di meningite è quella batterica, l’iter diagnostico viene impostato su un insieme di esami sia ematochimici (comprendenti anche quelli colturali), sia per immagini, ma soprattutto sull’analisi del liquor.
Una volta stabilita con certezza la diagnosi è possibile impostare il programma terapeutico.
Trattamento terapeutico della meningite
La meningite batterica è una malattia molto grave e, se non trattata adeguatamente, pericolosa per la vita, in quanto presenta un elevato tasso di mortalità.
Inoltre bisogna tenere presente che qualsiasi ritardo nel trattamento può generare una prognosi infausta.
I protocolli terapeutici in caso di meningite meningococcica prevedono l’immediata assunzione di un antibiotico ad ampio spettro nell’attesa della conferma diagnostica differenziale.
Successivamente si procede somministrando il farmaco mirato, anche se la benzilpenicillina rimane il principio attivo maggiormente impiegato per la sua grande efficacia.
Contestualmente è necessario garantire un’adeguata idratazione somministrando liquidi per via endovenosa .
Se la situazione si presenta notevolmente compromessa e la ventilazione polmonare risulta compromessa diventa inevitabile ricorrere alla respirazione assistita, da effettuare in ambiente ospedaliero.
Se vi sono segni di ipertensione endocranica si può applicare un drenaggio per eliminare i liquidi in eccesso e riportare i valori pressori alla normalità.
In presenza di crisi convulsive causate dal rialzo febbrile di norma si prescrivono farmaci anticonvulsivanti per via endovenosa, associati a soluzione fisiologica.
Sono spesso impiegate anche terapie coadiuvanti a base di corticosteroidi per minimizzare i sintomi collaterali come la perdita dell’udito, del gusto e dell’olfatto.
Bisogna sempre valutare la reattività del sistema immunitario, dato che la prognosi fausta o infausta della malattia dipende fondamentalmente dal tipo di risposta che l’organismo è in grado di fornire nei confronti dell’agente patogeno.
Esistono specifici preparati immunostimolanti da somministrare al paziente sia durante la terapia che dopo la sua sospensione, per mantenere sempre massima l’immunostimolazione.
Il riposo assoluto deve essere mantenuto per tutta la fase critica della patologia (sia in ospedale che in ambiente domestico) avendo cura di alimentare il malato con dieta semi-liquida per non affaticare l’organismo.
Un aspetto importantissimo di qualsiasi terapia per la meningite è quello dell’idratazione in quanto sia a causa dei picchi febbrili (con elevata sudorazione), sia per la ridotta introduzione di acqua, il paziente potrebbe incorrere in una carenza di fluidi corporei, con conseguente ipotensione di rimbalzo.
Pertanto è necessario effettuare terapie di supporto con flebo contenenti soluzione fisiologica alternata a quella glucosata, avendo cura di controllare quotidianamente lo stato della pelle e delle mucose del malato, che potrebbero mostrarsi secche e disidratate.