Mononucleosi scopri il virus di epstein-barr

Appartenente al gruppo degli herpes-virus, quello di Epstein Barr è un virus a DNA con il quale oltre il 95% della popolazione mondiale è venuta a contatto almeno una volta nella vita.
Diffuso ovunque sulla superficie terrestre, esso è stato ritrovato anche in etnie umane isolate che non possono averlo ricevuto tramite contagio; tale situazione rappresenta un’eccezione nel campo della virologia, anche perché l’analisi biomolecolare ha confermato che esiste un unico tipo di EBV.
Il virus venne isolato nel 1964 da due virologi inglesi, Epstein e Barr, che dapprima lo collegarono unicamente all’insorgenza del Linfoma di Burkitt, una forma tumorale presente in alcune popolazioni Africane.
Soltanto alcuni anni dopo esso fu messo in correlazione con alcune malattie respiratorie, come la mononucleosi, oppure con forme neoplastiche, come il Linfoma di Hodgkin.
L’HBV è caratterizzato da un tipo di immunità adattativa secondo cui il soggetto con cui viene a contatto sviluppa anticorpi specifici senza mai mostrare alcun sintomo dell’infezione.
Anche se lo stato morboso più ricorrente è la mononucleosi infettiva, una patologia tipica dell’adolescenza e della giovinezza, il virus è in grado di causare malattie estremamente gravi, come il Linfoma di Hodgkin, il Linfoma di Burkitt, linfomi del sistema nervoso centrale (solitamente associati al virus HIV) e il carcinoma naso-faringeo.
La sua trasmissione avviene soprattutto tramite la saliva, mentre altre modalità (sessuali oppure ematiche) pur essendo contemplate sono estremamente rare.
Secondo alcune ricerche scientifiche da tempo al vaglio degli scienziati, il virus di Epstein Barr sarebbe coinvolto anche nella genesi della sclerosi multipla, con modalità ancora da chiarire.
Morfologicamente esso presenta un aspetto sferoidale formato da una doppia membrana lipoproteica (tegumento) che avvolge un capside di forma icosaedrica costituito da numerosi capsomeri e che al suo interno contiene una doppia elica di DNA.
Trattandosi di un virus, esso ha bisogno di introdursi all’interno di una cellula ospite per essere in grado di replicarsi; i suoi bersagli sono i linfociti B umani, sulla cui membrana sono presenti dei recettori a cui si legano le glicoproteine virali.
Il suo meccanismo d’azione si realizza con due modalità, che sono:
– ciclo litico
dopo essere penetrato nei linfociti B, il virus vi trasferisce il proprio genoma e si moltiplica producendo un elevatissimo numero di virioni (proteina con acido nucleico) i quali, dopo la lisi della cellula ospitante, si distribuiscono nell’organismo;
– ciclo latente
in questo caso si verifica una introduzione del genoma virale all’interno del DNA della cellula ospite, che prende il nome di provirus. Quando essa si duplica trasmette quindi non soltanto il proprio genoma, ma anche quello del virus in essa penetrato. In tale situazione, a differenza del ciclo litico, il virus rimane latente per lungo tempo o addirittura per sempre, spiegando dunque il fenomeno dell’immunità latente.
Il fattore discriminante per la comparsa della sintomatologia è come sempre collegato allo stato del sistema immunitario, dato che soltanto nel momento in cui le difese dell’organismo si abbassano l’ EBV incomincia ad attivarsi.
Durante il ciclo latente, il virus sintetizza alcune proteine denominate EBNA (Epstein Barr Nuclear Antigens) che si comportano come veri e propri antigeni; esse possono essere di 6 tipologie e sono responsabili dell’attivazione dei linfociti B che incominciano a proliferare in maniera incontrollata (immortalizzazione cellulare).
Questo genere di moltiplicazione ingovernabile rappresenta il fattore distintivo di tutti i carcinomi, in cui le neoformazioni (neoplasie) derivano appunto da un’alterazione del controllo sul ciclo biologico delle cellule.
L’indiscriminata proliferazione dei linfociti B dipende da tre fattori:
– antigeni EBNA;
– proteine di membrana;
– RNA.
In base all’azione sinergica di questi tre elementi è possibile distinguere tre differenti forme di latenza dei linfociti B a cui è strettamente collegata la diffusione del virus di Epstein Barr all’interno dell’organismo.
L’EBV, legandosi a un recettore fisiologico dei linfociti B, è in grado di imitare un legame naturale e quindi riesce a inattivare le difese immunitarie dell’ospite: si tratta di un meccanismo estremamente vantaggioso per il germe infettante che in questo modo può mettere fuori uso l’immunità.
Meccanismo d’azione del virus epstein barr
Dopo essersi fissato al recettore di membrana del linfocita B, il virus penetra nella cellula ospite introducendovi il proprio genoma sotto forma di DNA circolare che incomincia a replicarsi.
Con la crescita esponenziale di questa moltiplicazione del materiale genetico, le nuove formazioni infettanti si distribuiscono nell’organismo ospitante e incominciano a manifestare segnali caratteristici.
Nel caso in cui si verifichi invece il meccanismo di latenza, la proliferazione virale non sviluppa nessuna sintomatologia, ma rimane quiescente in attesa che il sistema immunitario del paziente si mostri inefficace.
In ogni condizione, quando l’EBV si trova a contatto con i linfociti B, il suo genoma contribuisce a sintetizzare le EBNA, proteine con funzione antigenica il cui ruolo si dimostra fondamentale per il ciclo vitale del virus.
Da tempo è noto il contributo dei virus alla patogenesi di numerose forme neoplastiche, derivanti da differenti meccanismi d’azione.
Sembra che molti virus agiscano potenziando l’azione degli oncogeni e inattivando quella degli oncosopressori, favorendo così una distribuzione incontrollabile di neoformazioni tumorali.
Nello stesso tempo i virus, tra cui soprattutto quello di Epstein e Barr, sono in grado di limitare l’attività del sistema immunitario, rendendo l’organismo maggiormente vulnerabile.
Anche l’EBV si mostra potenzialmente oncogenico in quanto la sua modalità d’azione interagisce con il patrimonio genetico delle cellule in replicazione, che viene quindi modificato dal genoma virale.
Il Linfoma di Burkitt e altre patologie linfoproliferative mostrano una più elevata epidemiologia in pazienti trapiantati oppure soggetti a trattamenti immunosoppressivi (come chemioterapia), a conferma dell’importanza vitale che il sistema immunitario riveste in questo ambito.
Su individui sani infatti lo stato latente dell’infezione da EBV viene tenuto sotto controllo da parte dell’immunità umorale, dei linfociti T e del sistema correlato all’interferone.
Come numerosi altri virus, anche questo di Epstein e Barr si distingue per un meccanismo d’azione di tipo genomico il cui ruolo è quello di modificare in maniera irreversibile i nucleotidi delle cellule ospiti.
A seconda del differente coinvolgimento del patrimonio genetico dell’organismo ospitante, il virus può esprimersi con intensità e con tempistiche differenti.
Più del 90% della popolazione umana è portatrice sana di questo microrganismo, la cui infezione primaria risulta asintomatica nei bambini e patologica nel 50% di adolescenti e adulti.
Si stima che per ogni milione di linfociti sani presenti nel sangue, uno risulti infettato, rimanendo tale per tutta la vita; questa percentuale è molto bassa e probabilmente può spiegare il fenomeno della latenza del EBV.
Bisogna però considerare che l’associazione di questo virus con le forme tumorali è la più alta in assoluto, superando di gran lunga tutti gli altri virus umani.
Si pone quindi un notevole paradosso legato al meccanismo d’azione di questo germe che da un lato può rimanere quiescente per tutta la vita dell’ospite e d’altro lato può provocare l’insorgenza di patologie mortali.
Secondo le più recenti linee guida tale apparente contraddizione deriverebbe dall’interazione tra l’immuno-sorveglianza da parte dell’organismo ospite e l’espressione funzionale delle proteine virali.
Dosaggio degli anticorpi anti ebv virus
Il dosaggio anti Epstein Barr viene richiesto come sostegno alla diagnosi di una infezione pregressa, della mononucleosi infettiva e come indagine discriminante nei confronti di altre patologie con una simile sintomatologia.
Il test è consigliato quando, in presenza di un quadro morboso di mononucleosi, il monotest risulti negativo oppure in gestanti che presentino sintomi parainfluenzali, o anche se un soggetto sia stato a contatto con un malato di mononucleosi.
L’esame, che si effettua su un campione di sangue venoso prelevato da un individuo a digiuno da almeno 8 ore, è finalizzato alla rilevazione degli anticorpi contro EBV.
Come noto, si tratta di un virus altamente contagioso che si trasmette con la saliva sia direttamente (bacio) che indirettamente (tramite l’utilizzo di stoviglie contaminate).
Estremamente diffuso (circa il 95% degli over 40 è venuto a contatto con questo microrganismo), il virus ha un periodo d’incubazione di diverse settimane prima di manifestare una reale sintomatologia.
Durante l’infezione primaria acuta esso si moltiplica abbondantemente e soltanto alla scomparsa dei sintomi si nota una diminuzione della carica virale, anche se il germe non viene mai eradicato del tutto, rimanendo nell’organismo ospitante in forma latente per il resto della vita.
Pertanto è molto importante eseguire il test anti Epstein e Barr scegliendo le tempistiche idonee per non incorrere nel rischio di falsi positivi, anche perché è necessario che le metodiche d’analisi siano particolarmente sensibili.
Non si tratta di un’indagine routinaria, ma che viene richiesta su precisa indicazione del medico e in base a un quadro morboso già abbastanza definito.
Per diagnosticare la mononucleosi infettiva è necessario eseguire un esame emocromocitometrico (per valutare il valore di leucociti, eritrociti e conta delle piastrine) e un monotest (per rilevare la presenza di anticorpi eterofili).
Bisogna tenere conto del fatto che nel 25% dei casi di soggetti con infezione da EBV, il monotest risulta negativo in quanto non si è verificata la produzione di anticorpi eterofili.
Il test è necessario per discriminare tra alcune patologie che mostrano sintomi analoghi, come quelle da citomegalovirus, da virus dell’epatite A, B e C, e del toxoplasma.
In tutte queste malattie si nota un ingrossamento dei linfonodi, una splenomegalia (aumento di volume della milza), spesso accompagnata da epatomegalia (ingrossamento del fegato), episodi febbrili e astenia generalizzata.
Durante la gravidanza il test è indispensabile per aiutare a distinguere un’infezione primaria da EBV (innocua per il nascituro) da quella prodotta dall’herpes simplex, dal toxoplasma o dal citomegalovirus molto pericolose per lo sviluppo del feto.
L’analisi anti virus Epstein e Barr si conferma di estrema rilevanza per distinguere la presenza di patologie a carico dello streptococco beta emolitico di gruppo A, responsabile di faringo-tonsilliti streptococciche la cui sintomatologia è generalmente piuttosto simile con quella della mononucleosi.
Tutti questi dati di laboratorio sono di grande aiuto sia per confermare un quesito diagnostico che per impostare un corretto protocollo terapeutico, tenendo conto che la sintomatologia è molto simile.
Sono disponibili molti test capaci di rilevare i diversi tipi di anticorpi coinvolti dalla risposta immunitaria contro l’EBV: nel corso dell’infezione primaria si nota un aumento della produzione anticorpale, che diminuisce progressivamente.
La loro valutazione quantitativa fornisce importanti informazioni inerenti allo stadio del quadro morboso e inoltre alla relativa tempistica (infezione in corso, recente o pregressa).
Tipi di anticorpi anti virus Epstein e Barr
1. Anticorpo IgM
si tratta di una proteina diretta contro l’antigene del capside del virus EBV e che compare per prima dopo l’esposizione al virus per poi sparire successivamente entro 4-6 settimane.
Viene considerato un valore indicativo di massima la cui utilità è collegabile ad un iniziale approccio diagnostico.
2. Anticorpo IgG
sempre diretto contro l’antigene del capside virale, questo anticorpo appare durante la fase acuta, mantenendo elevate concentrazioni per 2-4 settimane, dopo di che incomincia a diminuire per poi stabilizzarsi su valori bassi che rimangono tali per sempre.
3. Anticorpo contro l’antigene precoce
compare inizialmente nella fase acuta per scomparire abbastanza rapidamente, rimanendo comunque quantificabile (nel 20% dei pazienti) per molti anni dopo il superamento dell’infezione.
4. Anticorpo contro l’antigene nucleare
si tratta di una proteina che si manifesta dopo la risoluzione della fase acuta e si sviluppa da 2 a 4 mesi dopo l’infezione iniziale rimanendo presente per il resto della vita.
Queste analisi di notevole specificità di solito vengono richieste per soggetti immunocompromessi che abbiano avuto contatti con ammalati di mononucleosi.
In queste circostanze, per definire lo stato immunitario del soggetto e per valutare la stadiazione del processo morboso sono raccomandati i 4 esami sopra elencati il cui ruolo è quello di definire con estrema precisione lo stato di progressione della malattia.
Il test anti EBV può essere ripetuto nei casi in cui il clinico desideri monitorare l’andamento della concentrazione anticorpale (titolo degli anticorpi) o anche nel caso in cui permanga un quadro sintomatologico senza causa chiaramente definibile.
Interpretazione dei risultati
L’interpretazione del test anti EBV è sempre molto complessa e richiede una notevole esperienza oltre che una grande competenza che di solito non è propria dei medici di base i quali dovrebbero avvalersi della consulenza di un infettivologo.
La presenza di anticorpi IgM sta ad indicare una probabile infezione in atto e dunque uno stadio patologico precoce; se il soggetto presenta chiari sintomi riconducibili alla mononucleosi, la diagnosi è certa anche in presenza di monotest negativo.
La presenza di anticorpi IgG indica che il paziente presenta un’infezione da EBV in corso oppure recentemente superata ma che comunque ha lasciato una memoria anticorpale a breve termine.
Se gli anticorpi IgM sono negativi mentre quelli IgG sono positivi significa che il soggetto ha già superato un’infezione causata dal virus Epstein e Barr, che può considerarsi pregressa.
Se gli anticorpi IgG sono negativi e il soggetto non presenta sintomi vuol dire che non c’é stato nessun contatto con il virus e quindi che egli è maggiormente vulnerabile ad un’eventuale esposizione.
Qualsiasi aumento di IgG è indicativo di un’infezione virale in atto, mentre concentrazioni decrescenti sono tipiche di infezioni che stanno risolvendosi; in questi casi il valore quantitativo non è discriminante poiché gli anticorpi IgG possono persistere ad elevate concentrazioni per tutta la vita.
La memoria anticorpale presenta sia un aspetto quantitativo che uno qualitativo riguardo alla presenza di IgG e di IgM; nella valutazione delle differenti patologie (e in particolare di quelle virali) è molto importante essere in grado di interpretare correttamente entrambi gli aspetti.
Nell’interpretazione dei risultati virologici risulta indispensabile la valutazione clinica del soggetto proprio perché, come accennato, il virus di Epstein e Barr può causare malattie facilmente superabili, come la mononucleosi, come altre gravi come linfomi e forme neoplastiche.
Bisogna inoltre prendere in esame la possibilità di una riattivazione del virus che, in alcuni casi (anche se rari) può riacutizzarsi anche dopo una guarigione apparentemente certa.
In tali casi è necessario ripetere ciclicamente il test per monitorare la concentrazione di IgG e di IgM.
Trasmissione del virus di Epstein e Barr
L’EBV ha come ospite esclusivo l’uomo che può portarlo nel suo organismo anche per tutta la vita qualora ne sia venuto a contatto durante l’adolescenza.
Il germe è presente nella saliva e nelle secrezioni oro-faringee dell’ospite e può essere trasmesso per via diretta (mescolanza di saliva con il bacio) oppure indiretta (tramite l’impiego di oggetti come tazze, bicchieri, stoviglie).
In alcune circostanze il contagio può avvenire anche per via ematica oppure sessuale; si tratta di modalità particolarmente rare e che di solito non hanno conseguenze rilevabili.
Dopo essere penetrato nelle cellule bersaglio dell’ospite, il microrganismo incomincia a replicarsi a livello dell’epitelio naso-faringeo, da cui si diffonde nelle varie parti dell’organismo.
Le sedi di localizzazione del virus sono rappresentate inizialmente dalle ghiandole salivari e dalle stazioni linfonodali dei tessuti del cavo orale per poi propagarsi in un secondo tempo al sistema linforeticolare.
I linfociti B sono infatti i bersagli d’elezione del EBV, tramite i quali esso raggiunge tutti gli organi, privilegiando il tessuto epatico e quello splenico.
La malattia più diffusa e comune provocata da questo virus è la mononucleosi, una sindrome infettiva che può presentare una sintomatologia estremamente dissimile, da forme quasi inavvertite ad altre piuttosto importanti.
Di norma il test anti EBV viene eseguito in relazione a questa patologia dato che le le altre forme morbose (linfomi oppure carcinomi) presentano sintomi abbastanza discriminanti anche senza l’effettuazione dell’analisi.
Cos è la Mononucleosi e il legame con l’EBV
Contagiosa, acuta e virale, la mononucleosi è una patologia che si trasmette attraverso la saliva e che colpisce prevalentemente la fascia adolescenziale oppure le giovinezza.
Essa viene provocata dal virus di Epstein e Barr, un herpes virus che aderisce alla parete dei linfociti B da cui si distribuisce a tutto l’organismo.
Il suo appellativo “mononucleosi” si riferisce al tipo di risposta immunitaria innescata dal virus, la cui presenza stimola la produzione di leucociti mononucleati (monociti). che solitamente in condizioni fisiologiche non sono abbondanti nel sangue.
Trattandosi di una malattia infettiva essa è in grado di provocare delle vere e proprie epidemie, in particolare in comunità oppure in ambienti affollati dove è più facile venire a contatto con saliva infetta.
La contagiosità può persistere per lungo tempo in quanto una persona rimane infetta fino a un anno dopo il superamento dell’infezione.
I suoi sintomi sono del tutto analoghi a quelli dell’influenza e si manifestano con mal di gola, episodi febbrili e notevole ingrossamento dei linfonodi, che rappresenta il segnale più tipicizzante della malattia.
Dopo un periodo d’incubazione che varia da 30 a 50 giorni (in adulti e adolescenti) e da 10 a 15 giorni (nei bambini), la mononucleosi si manifesta con una fase prodromica di qualche giorno durante cui il paziente avverte sintomi generalizzati e non ben definibili, come affaticamento e spossatezza, febbicola (mai superiore a 37 gradi), sudorazione notturna, cefalea e disappetenza.
Se la risposta immunitaria non si mostra adeguata, la patologia ha inizio con una vera e propria sintomatologia comprendente:
– astenia generalizzata;
– mal di gola con placche biancastre localizzate sulle tonsille;
– linfoadenomegalia con interessamento delle ghiandole del collo e delle ascelle che risultano dolenti;
– febbre elevata fino a 39-40 gradi;
– forte sudorazione notturna;
– comparsa di leucociti anomali nel sangue;
– splenomegalia;
– esantema diffuso di aspetto simile al morbillo;
– sofferenza epatica con lieve ittero.
La diagnosi viene effettuata in base all’esame obiettivo dei sintomi e all’esecuzione di alcuni test sierologici relativi all’esame completo del sangue, al monotest e al test anti EBV, oltre che al pannello per la funzionalità epatica.
In particolari casi, quando sussiste il sospetto di coinvolgimento di milza o fegato, può essere opportuno eseguire un’ecografia addominale per visionare la morfologia di questi organi.
Nella maggior parte delle situazioni la mononucleosi si risolve spontaneamente nel giro di qualche settimana soltanto con il riposo e con un adeguato regime alimentare.
In casi più seri è possibile un coinvolgimento epatico che prevede l’ingrossamento dell’organo con una minore funzionalità e un persistente gonfiore delle linfoghiandole.
Il virus di Epstein e Barr tende a rimanere latente a livello del tessuto linfoghiandolare con tendenza a riattivarsi per dare origine alla sindrome da affaticamento cronico, uno stato di generale debilitazione che può perdurare per diversi mesi.
Non esistono farmaci per questa malattia, ma vengono prescritti unicamente rimedi sintomatici, come antinfiammatori FANS, antipiretici e analgesici.
Bisogna ricordare che l’impiego di antibiotici è assolutamente da evitare in quanto la malattia è di natura virale e non batterica.
Dal punto di vista fitoterapico è possibile assumere preparati vegetali in grado di rinforzare le difese immunitarie, come Echinacea Purpurea, Eleuterococco, Rodiola, Mirtillo Rosso e Ginseng.
Una corretta alimentazione può dimostrarsi un valido supporto per migliorare lo stato di salute del paziente, abbreviando le tempistiche della mononucleosi; è necessario assumere pasti poco abbondanti per non affaticare l’apparato digerente.
Bisogna assicurare un’adeguata idratazione con il consumo di almeno 2 litri di liquidi al giorno, anche sotto forma di tisane oppure di té verde.
Esistono integratori probiotici particolarmente efficaci per migliorare la funzionalità della flora batterica intestinale, coinvolta nel mantenimento del benessere dell’organismo.
Gli antiossidanti, come sempre, si confermano utilissimi supporti per migliorare la risposta immunitaria contro l’attacco dei germi patogeni.