Significato clinico dell’ernia

Con la denominazione di “ernia” si indica la fuoriuscita di un organo oppure di una sua parte dalla propria sede naturale verso una cavità del corpo o anche verso l’esterno.
In questa estroflessione, la porzione anatomica si mantiene rivestita dalla sua membrana sierosa.
L’origine etimologica del vocabolo “ernia” si collega a un termine greco che significa “germoglio”, con evidente allusione alla fuoriuscita di una parte anatomica dalla sua sede naturale.
Questo processo interessa i visceri, organi molli contenuti dentro a strutture ossee rigide, come il cranio (che racchiude l’encefalo); la colonna vertebrale (contenente il midollo spinale), la gabbia toracica (entro cui si trovano cuore e polmoni) e le ossa del bacino (che delimitano la cavità addominale).
Sono proprio gli organi molli a poter manifestare un disturbo erniario in quanto la loro struttura si presta a creare delle evaginazioni attraverso orifizi.
In base alla loro localizzazione, le ernie si distinguono in:
– interne
se la protrusione avviene verso una cavità dell’organismo (come ad esempio l’ernia diaframmatica);
– esterna
se l’estroflessione si realizza attraverso la parete che delimita la cavità in cui si trova il viscere erniato, attraverso un punto debole della parete o un canale naturale oppure anche un orifizio.
Sono numerose le cause predisponenti all’insorgenza dell’ernia, soprattutto quelle riferibili a malformazioni congenite delle pareti contenitive, l’esiguità del loro spessore (in particolare negli anziani), un’inadeguata alimentazione, traumatismi, insufficienza respiratoria e altro ancora.
Alcune volte congenita, altre volte acquisita, questa patologia può avere ripercussioni estremamente debilitanti a seconda del distretto in cui emerge e richiede sempre un’attenta diagnosi, confermata da indagini cliniche di varia natura.
Dal punto di vista morfologico, l’ernia è formata da tre parti, che sono;
– porta
costituita dall’apertura naturale della parete attraverso cui può uscire il viscere, nei casi in cui la resistenza della parete stessa sia diminuita;
– sacco
è la vera e propria estroflessione che può presentarsi in forma semplice o complessa (plurilobata), e costituita dal colletto (corrispondente al punto di passaggio), corpo e fondo;
– contenuto
formato dal viscere presente nel sacco.
Il contenuto può essere caratterizzato dalla capacità di rientrare in sede, consentendo una distinzione in:
– ernie riducibili
quando il contenuto può venire riportato alle condizioni di partenza sia spontaneamente che artificialmente. Esse possono essere contenibili (se la massa rimane in sede dopo essere stata riposizionata) oppure incontenibili (quando il contenuto ritorna immediatamente fuori dalla sede in seguito a stimolazioni anche minime);
– irriducibili
quando non sussistono le condizioni per riportare il contenuto alle sue originarie condizioni anatomiche, di solito a causa delle aderenze che si sono venute a creare con le pareti del sacco.
Il dolore, che rappresenta il sintomo più caratterizzante di questo disturbo, può avere un’intensità del tutto variabile in quanto dipendente dalla sede anatomica e dall’estensione del processo che comunque non è mai asintomatico.
Si tratta solitamente di un’intensa percezione trafittiva oppure gravativa, che si accentua in posizione ortostatica o anche in seguito a sforzi muscolari.
I maggiori rischi derivanti dall’insorgenza di questa malattia sono collegati a un eventuale strozzamento, a un intasamento o anche infiammazione a seconda della sede del processo.
In molti casi si parla di irriducibilità, un’evenienza causata dalle aderenze che il viscere contrae con il sacco, e che rende particolarmente impegnativa la sua riduzione.
I più comuni tipi di ernia sono i seguenti:
– addominale (comprendente quella inguinale, ombelicale, e crurale);
– iatale;
– diaframmatica;
– cervicale.
Un discorso a parte è quello dell’ernia del disco, una grave patologia a carico del sistema nervoso centrale che di solito richiede delicati interventi di neurochirurgia.
Ernia addominale
Considerata una delle più comuni patologie di questo genere (colpisce circa il 6% della popolazione globale), l’ernia addominale consiste nella fuoriuscita di parte di un viscere dalla cavità addominale dove solitamente si trova.
Il processo di erniazione si fa strada attraverso un orifizio pre-formato oppure una zona d’indebolimento delle pareti muscolari dell’addome che normalmente dovrebbero contenere l’organo.
Si tratta di ernie esterne perché i visceri, dopo essersi infilati nello spazio di apertura, si spingono verso l’esterno, diventando evidenti e visibili anche a occhio nudo.
Nella sua forma congenita essa comprende le ernie ombelicali, inguinali e crurali, mentre nella forma acquisita comprende varie manifestazioni, tutte accomunate da fattori predisponenti come: alterazioni nell’anatomia dell’addome, ascite, gravidanze multiple, sovrappeso e obesità, postumi di interventi chirurgici.
I principali sintomi delle ernie addominali comprendono:
– gonfiore addominale;
– presenza di una massa palpabile;
– dolori e crampi all’addome;
– episodi di vomito biliare;
– nausea accompagnata da epigastralgia;
– difficoltà digestive.
In questi casi la porta erniaria può essere costituito dall’enello ombelicale (ernia ombelicale) oppure dal canale inguinale (ernia inguinale)
Spesso è associata a smagliature a livello della parete addominale, che indicano la presenza di una zona di maggiore debolezza del tessuto muscolare.
Nella maggior parte dei casi essa provoca una piccola tumefazione responsabile di un’evidente asimmetria della parete addominale, che può essere asintomatico oppure causare fastidi molto lievi, manifestandosi soltanto in particolari condizioni, come colpi di tosse o sforzi fisici.
Passando dalla posizione ortostatica a quella clinostatica, l’ernia scompare in quanto ritorna dentro all’addome, a patto che le sue dimensioni lo consentano.
Se le dimensioni della massa che protrude all’esterno sono notevoli, il soggetto avverte un dolore sordo, continuo e di tipo gravativo, acuito dalla digestione.
Le complicazioni più comuni consistono nello strozzamento prodotto da una compressione della porzione intestinale fuoriuscita dalla breccia addominale; si tratta di un’ernia strangolata (o incarcerata) che richiede un intervento d’urgenza.
Un’ernia strozzata di questo tipo non è in grado di rientrare in seguito alle solite manovre palpatorie, ma provoca un dolore intenso e ingravescente associato a nausea e vomito che, se trascurata, può avere conseguenze molto gravi, tra cui la peritonite diffusa.
La diagnosi si basa sull’esame obiettivo del paziente a cui di norma si associa un’indagine ecografica; il trattamento è chirurgico.
Ernia inguinale
Circa l’80% delle ernie addominali è di tipo inguinale, considerata quindi la più comune tra queste patologie; essa si manifesta soprattutto in soggetti di età tra 20 e 60 anni, con picchi nei bambini e anziani.
Il sesso maschile risulta quello maggiormente colpito, con un rapporto 10/7 rispetto alle donne, in quanto negli uomini il canale inguinale (un condotto che collega l’addome con l’esterno) è attraversato da vasi e nervi diretti al testicolo e quindi risulta molto più vulnerabile rispetto a quello femminile.
Nella forma congenita di norma l’ernia si manifesta nella prima infanzia come conseguenza della mancata chiusura del dotto peritoneo-vaginale, un canale presente durante lo sviluppo fetale e che consente la discesa dei testicoli nello scroto.
Nei casi più gravi, essa è chiaramente visibile sotto forma di una tumefazione a livello dell’inguine.
Nella forma acquisita essa insorge in conseguenza del progressivo indebolimento della muscolatura addominale, favorito dal sovrappeso, gravidanze multiple, intensi sforzi, attività lavorative pesanti oppure in presenza di una patologia metabolica che non consente una normale produzione di collagene.
Il dolore, di solito presente, può diventare intollerabile in caso di strozzatura, un evento particolarmente pericoloso in quanto impedisce il normale flusso circolatorio che può diventare anche incompatibile con la vita.
Questa patologia richiede quasi sempre un intervento chirurgico in urgenza per lo strangolamento dei vasi sanguigni responsabile della necrosi tessutale.
Non è possibile alcun tipo di terapia farmacologica e l’ernia non è in grado di regredire spontaneamente; nei casi in cui sia sconsigliato intervenire chirurgicamente è possibile provare l’applicazione del cinto erniario, un trattamento conservativo non sempre efficace.
La chirurgia inguinale, effettuabile in day hospital, è ormai diventata un intervento di routine e prevede l’impianto di una rete biocompatibile per contenere l’ernia e nello stesso tempo irrobustire la parete addominale.
Ernia ombelicale
Esistono vari tipi di ernia ombelicale, che sono:
– embrionale
di norma è incompatibile con la vita e quindi porta all’aborto;
– fetale
compare nel secondo trimestre gestazionale;
– neonatale
si sviluppa dopo la nascita entro il sesto mese di vita;
– adulta
insorge in soggetti adulti.
Sviluppatasi a livello della cicatrice ombelicale, questo tipo di ernia è tipica dei bambini, ma può insorgere anche su soggetti adulti ed anziani, quando subentrino particolari condizioni predisponenti.
Dopo la caduta del cordone ombelicale, nel neonato può verificarsi un difetto di chiusura della parete addominale, con comparsa di un rigonfiamento che nasce dal rivestimento addominale e sporge verso l’esterno.
In molti casi invece il disturbo insorge in seguito a disturbi metabolici, ipotiroidismo congenito, sindrome fetale da idantoina ( farmaco anticonvulsivante), sindrome di Down, imperfetta osteogenesi, nanismo disarmonico, sindrome di Ehlers-Danlos.
Si tratta nel complesso di un disturbo associato a patologie rare, spesso collegate a disordini nella sintesi del tessuto osseo e articolare, con lassità dei legamenti indotto da disordini metabolici del collagene.
Secondo alcune teorie esisterebbe un legame tra la lassità dei tessuti e la protrusione dell’ernia, provocata dalle debolezza delle strutture anatomiche contenitive.
Negli adulti invece l’ernia ombelicale dipende molto frequentemente dall’aumento della pressione addominale causata da ascite, cirrosi epatica oppure gravidanza.
La classificazione delle ernie ombelicali viene fatta in base alle dimensioni del colletto erniario e prevede tre tipologie, che sono:
– piccole
con diametro inferiore a 2 centimetri;
– media
con diametro compreso tra 2 e 4 centimetri;
– grande
con diametro superiore a 4 centimetri
Mentre nel neonato essa tende a scomparire spontaneamente dopo pochi mesi di vita, nell’adulto invece richiede generalmente l’intervento chirurgico riparativo, sempre allo scopo di evitare il rischio delle pericolose complicanze di strozzatura e necrosi tessutale.
Ernia crurale
Nota anche con l’appellativo di ernia femorale, questa malattia costituisce circa il 5% di tutte le addominali e interessa lo spazio occupato dall’arcata femorale con relativa arteria, localizzato a livello della porzione orizzontale del pube.
Prevalentemente presente nel sesso femminile, essa colpisce di preferenza donne dopo i 30 anni, in seguito a intensi sforzi muscolari (sportivi oppure lavorativi).
Anche se spesso risulta asintomatica, l’ernia crurale è responsabile di dolore sorso e costante incentrato prevalentemente sulla radice della coscia, che non si modifica nel tempo.
Rispetto all’inquinale, questa ernia mostra una maggiore tendenza a strozzarsi e pertanto deve venire monitorata attentamente per poter intervenire nel momento di crisi.
Ernia iatale
Provocata dal passaggio di una porzione di stomaco dall’addome al torace, l’ernia iatale di estroflette attraverso un foro del diaframma, chiamato iato diaframmatico-esofageo, il cui ruolo, in condizioni fisiologiche, è appunto quello di consentire il passaggio dell’esofago attraverso il diaframma.
Quando insorge l’ernia, una porzione gastrica più o meno consistente risale attraverso tale apertura, provocando la malattia, che colpisce circa il 15% della popolazione.
Esistono tre differenti tipologie di ernia iatale, che sono:
– da scivolamento
presente in oltre il 90% dei casi, essa consiste nel passaggio di una parte dello stomaco attraverso lo iato esofageo, con conseguente spinta verso l’alto della giunzione gastro-esofagea, responsabile del reflusso ad essa associato. Le variazioni di pressione addominale influenzano sensibilmente il disturbo, che viene acuito da colpi di tosse, deglutizione difficoltosa, posizione supina;
– da arrotolamento
molto raro, ma estremamente pericoloso, questo disturbo consiste nello spostamento del fondo dello stomaco verso il torace mentre la giunzione gastroesofagea rimane in sede. Si tratta di una condizione molto rischiosa poiché l’ernia può facilmente strozzarsi tra l’esofago e lo iato gastroesofageo, compromettendo l’irrorazione sanguigna allo stomaco;
– mista
si distingue per caratteristiche di entrambi i precedenti tipi.
Legata principalmente all’età, l’ernia iatale colpisce soggetti over cinquanta (25%) e over 80 (100%). Il motivo dipende dal progressivo deterioramento delle strutture anatomiche causato dai processi di invecchiamento, che contribuiscono ad alterare l’elasticità della giunzione gastroesofagea.
Le donne e le persone in sovrappeso sono i pazienti maggiormente colpiti da questa patologia, che raramente mostra una forma congenita.
Non esiste al momento nessuna causa certa del disturbo, se non l’aumento della pressione addominale innescata da varie cause; il fumo e l’alcol sembrano essere fattori predisponenti.
Il quadro clinico dell’ernia iatale è estremamente soggettivo, presentandosi asintomatico in alcuni pazienti oppure particolarmente debilitante in altri.
Il sintomo più caratteristico è collegato al reflusso gastroesofageo, consistente nella risalita di chimo gastrico a pH acido, responsabile dell’insorgenza di dolori al torace e di bruciore allo sterno, accompagnati da intensa salivazione, rigurgiti acidi, sensazione di amaro in bocca e comparsa di raucedine.
Tutti questi segnali tendono a peggiorare in occasione di sforzi muscolari in gravidanza e in tutte le situazioni che provocano un aumento della pressione addominale.
La posizione orizzontale peggiora moltissimo la malattia.
Sono disponibili farmaci efficaci per la diminuzione dei sintomi indotti dal reflusso, che utilizzano di solito sostanze antiacide o regolatrici del pH esofageo.
La principale complicazione dell’ernia iatale si collega alla comparsa di ulcere esofagee e gastriche, che possono evolvere in forme neoplastiche.
Spesso i pazienti affetti da questo disturbo lamentano un senso di oppressione toracica che può essere confuso con un episodio anginoso oppure con un vero e proprio infarto.
Pertanto è opportuno sottoporsi a controlli medici per diagnosticare con certezza questa patologia.
Dal punto di vista clinico è consigliabile effettuare un’ecografia completata da gastroscopia e analisi istologica dei reperti bioptici.
La dieta può migliorare molto le condizioni dei pazienti impostando il regime nutritivo su piccoli pasti frequenti e privi di cibi acidi; inoltre è utile non coricarsi subito dopo aver terminato il pasto ma rimanere con il busto in posizione eretta per consentire il completamento della digestione gastrica degli alimenti.
In generale è consigliabile dormire con alcuni cuscini dietro alla testa dato che il problema può presentarsi durante la notte, anche se la digestione è ormai completata.
Soltanto in casi particolarmente gravi e refrattari alle terapie farmacologiche diventa necessario ricorrere all’intervento chirurgico, che pur essendo invasivo risolve definitivamente il problema.
Il protocollo terapeutico prevede medicinali a base di carbonato di calcio o di sodio, idrossido di alluminio o di magnesio e farmaci inibitori della pompa protonica, che rappresentano la scelta d’elezione in questi casi.
Anche gli antagonisti dei recettori H2 dell’istamina trovano largo impiego ma rappresentano la seconda scelta rispetto agli inibitori della pompa.
Ernia diaframmatica
Consistente nell’estroflessione di una o più porzioni di visceri addominali nella cavità toracica, l’ernia diaframmatica è causata da un’apertura anomala a livello del diaframma che può essere derivante da un’anomalia congenita oppure acquisita nel tempo.
Il quadro clinico caratteristico prevede disturbi respiratori in quanto gli organi addominali che erniano vanno a occupare gran parte dello spazio riservato ai polmoni, limitandone lo sviluppo soprattutto nei bambini, durante i periodi di crescita.
L’unica terapia efficace è quella chirurgica, che prevede il ricollocamento in sede dei visceri addominali e la riparazione del diaframma.
Si tratta di una patologia estremamente grave, dato che al di sopra del diaframma sono localizzati cuore e polmoni, organi indispensabili alla vita e il cui funzionamento deve essere garantito.
Il diaframma è un muscolo laminare disposto inferiormente alla gabbia toracica, e la separa dalla cavità addominale.
Indispensabile per i processi respiratori, esso funziona anche per mantenere separati gli organi toracici da quelli addominali. Questo disturbo può essere congenito quando è provocato da un anomalo sviluppo fetale, che comporta gravissime conseguenze per il nascituro.
Tale forma congenita può essere di tre tipi che sono:
– ernia di Morgagni,
in cui l’apertura da cui fuoriescono i visceri si trova sul diaframma anteriore, dietro al processo xifoideo dello sterno, in corrispondenza del forame di Morgagni;
– ernia di Bochdalek,
che rappresenta oltre l’85% dei casi clinici e comporta un’apertura diaframmatica nelle zone postero-laterali del muscolo;
– ernia con eventrazione del muscolo,
è un disturbo estremamente raro che consiste in un’elevazione permanente del muscolo o di una sua parte, che comporta uno spostamento verso l’alto degli organi addominali.
L’ernia congenita di questo tipo deriva da un’alterazione del patrimonio ereditario e corrisponde a circa il 30% dei casi. Per il restante 70% si parla di forme idiopatiche, i cui fattori eziologici per ora non sono stati identificati.
L’ernia diaframmatica acquisita deriva da traumi solitamente causati da incidenti. Il trauma può essere da impatto o penetrante, nel primo caso dipende da incidenti automobilistici o da cadute. Nel secondo caso dipende invece da accoltellamenti o sparatorie.
In entrambe queste situazioni è possibile che si verifichi un’erniazione dei visceri addominali attraverso il diaframma.
Il tasso di mortalità della malattia è elevato (oltre il 65% dei casi) in relazione alle gravi complicazioni che ne derivano e che comprendono difficoltà respiratorie con ipoplasia polmonare, mancata ossigenazione dei tessuti con cianosi, tachipnea e tachicardia compensatorie, malessere generalizzato che può portare al decesso.
Se non vien trattata tempestivamente l’ernia diaframmatica è responsabile anche di un’ipertensione polmonare spesso fatale.
Per diagnosticare la presenza della forma congenita è sufficiente un esame ecografico prenatale, accompagnato dall’analisi della quantità di liquido amniotico, che risulta più abbondante in questi pazienti.
Per diagnosticare le forme acquisite, oltre all’esame obiettivo dei sintomi è necessario ricorrere all’impiego di ecografia toracoaddominale, TAC, radiografia toracica e emogasanalisi arteriosa.
Trattandosi di una patologia di notevole gravità, il trattamento prevede un intervento chirurgico d’urgenza, soprattutto nel caso di ernia diaframmatica acquisita conseguente a incidenti o traumi.
In caso di patologia congenita, l’intervento deve essere eseguito su piccoli pazienti che di solito vengono sottoposti a ossigenazione extracorporea a membrana finalizzata a sostituire la funzionalità polmonare, consentendo al paziente di affrontare l’intervento e la fase post operatoria, dato che i polmoni impiegano un certo tempo per ritornare a essere funzionali.
La prognosi è strettamente collegata alla tempestività dell’intervento e all’estensione delle zone anatomiche interessate.
Ernia cervicale
Appartenente al gruppo delle ernie discali, quella cervicale consiste nella fuoriuscita del materiale polposo del disco intervertebrale localizzato nel tratto delle vertebre cervicali.
Come conseguenza dell’erniazione si forma una protuberanza del disco che, comprimendo le radici nervose, provoca l’insorgenza della tipica sintomatologia.
Le cause principali di questo disturbo sono riconducibili a traumi cervicali, con inclinazione delle vertebre e indebolimento dei dischi.
La compressione delle radici nervose riguarda gli arti superiori con insorgenza di dolore intenso e penetrante in tutta la parte superiore del corpo.
Il rachide cervicale è formato da sette vertebre; la prima, Atlante, e la seconda, epistrofeo, non sono separate da alcun disco e quindi in questa zona non è possibile che si verifichi un’erniazione, che può invece insorgere dalla terza alla settima vertebra.
L’ernia cervicale è una patologia interna, senza spostamento di visceri, ma con compromissione delle fibre nervose presenti a livello del midollo spinale.
La causa principale è dovuta alla lacerazione delle fibre che costituiscono l’anello fibroso; la conseguente degenerazione del disco provoca l’insorgenza della sintomatologia.
Le cause principali sono di natura posturale, soprattutto per aumento del carico sul rachide, debolezza delle fibre muscolari e dei legamenti, scoliosi, invecchiamento fisiologico dei dischi, spondilosi cervicale e colpo di frusta.
Il sintomo più evidente di questa patologia è rappresentato dalla cervicalgia, che mostra uno spiccato irradiamento verso le braccia (brachialgia).
Si tratta di un disturbo dolorosissimo che può essere associato a debolezza muscolare con deficit motori più o meno gravi, parestesie e formicolii agli arti, ipomobilità delle braccia, cefalea e sensazione urente a livello cervicale.
La malattia è presente in due versioni:
– ernia cervicale molle;
– ernia cervicale dura.
Nel primo caso il disturbo è provocato dall’usura del disco intervertebrale, conseguente a traumi o a colpi di frusta, la cui sintomatologia più ricorrente è il torcicollo.
Nel secondo caso si nota una malformazione ossea a forma di becco (osteofitosi), localizzata sul margine del corpo vertebrale.
L’ernia cervicale si accompagna solitamente ad un restringimento stenotico del canale neurale, la cui sintomatologia aumenta progressivamente nel tempo.
La diagnosi di questo disturbo viene effettuata tramite TAC, risonanza magnetica o radiografia, in alcuni casi vengono consigliate indagini più specifiche come la mielografia, l’elettromiografia e la discografia.
I tipi di intervento dipendono dalla gravità della situazione e prevedono una terapia conservativa in caso di patologie di lieve entità, con manipolazioni fisioterapiche associate all’impiego di farmaci antinfiammatori e antidolorofici, oltre che corticosteroidi.
Alternativamente è possibile provare con la ginnastica posturale, con l’agopuntura o con la ionoforesi.
La terapia chirurgica rimane l’approccio più risolutivo e in alcuni casi inevitabile e consiste nella discectomia anteriore o posteriore con innesto di protesi artificiali posizionate a livello delle differenti vertebre.
Ernia al disco
L’ernia al disco consiste in una fuoriuscita di sostanza del nucleo polposo di un disco intervertebrale, prodotta dalla lesione delle fibre del relativo anello fibroso.
All’interno del corpo vertebrale di questi elementi ossei che costituiscono il rachide decorre il midollo spinale; le vertebre sono separate tra loro mediante i dischi intervertebrali, veri e propri ammortizzatori naturali.
Il loro ruolo è quello di limitare le pressioni sviluppate durante i movimenti, contribuendo anche a facilitare i movimenti.
Costituiti da una struttura fibro-cartillaginea flessibile, i dischi mostrano un aspetto di lente biconvessa e comprendono due parti: un nucleo polposo centrale di sostanza gelatinosa (formato da acqua per l’88%) circondato da un anello fibroso periferico.
In seguito all’azione di elevate pressioni oppure per l’invecchiamento delle varie parti anatomiche, la sostanza del nucleo polposo può fuoriuscire nelle zone in cui l’anulus fibroso non è continuo.
Questa estroflessione prende il nome di ernia al disco e rappresenta una delle principali cause del dolore alla schiena di tipo neurologico.
La protrusione del materiale discale contribuisce a comprimere meccanicamente le adiacenti radici nervose, innescando la tipica sintomatologia dolorosa.
Il dolore viene causato dalla produzione di alcune sostanze estremamente lesive per le fibre nervose che quindi vengono stimolate a livello sensoriale.
Scendendo verso il basso della colonna vertebrale, dalla zona cervicale verso quella lombare, aumenta progressivamente la probabilità che possa insorgere un’erniazione, che risulta quindi molto frequente nella zona lombo-sacrale.
I sintomi caratterizzanti di questa patologia sono quelli tipici della sciatica, comprendenti un dolore di forte intensità che, partendo dalla natica, scende verso il piede attraverso la gamba.
Si tratta di una manifestazione facilmente diagnosticabile che comprende i seguenti sintomi:
– forte dolore alla zona lombare della schiena;
– interessamento del gluteo;
– discesa della sensazione dolorosa lungo la gamba;
– coinvolgimento del piede;
– intorpidimento;
– formicolio;
– debolezza muscolare.
Quando si manifesta una simile sintomatologia, l’ernia al disco di solito va a compromettere la funzionalità del nervo sciatico, il più lungo e grande di tutto il corpo e il cui decorso parte dalla parte bassa della schiena per poi raggiungere il piede attraverso l’arto inferiore.
L’ernia discale è responsabile di oltre il 15% dei casi di sciatica.
Tale patologia può essere la conseguenza di traumi al rachide oppure di scorretti atteggiamenti posturali, o anche di un inadeguato carico sul rachide.
La sua diagnosi prevede l’impiego di TAC con mezzo di contrasto oppure di risonanza magnetica, oltre che di elettromiografia; tali indagini cliniche devono comunque venire interpretate dal medico in base all’esame obiettivo dei sintomi.
Il segnale discriminante che consente di distinguere un banale mal di schiena dalla sciatica è rappresentato dalla propagazione del dolore alla gamba e al piede, sintomi mancanti in presenza di lombalgia non complicata.
Possono subentrare tre differenti tipi di patologia a seconda del diverso tipo di coinvolgimento dell’anello fibroso, e precisamente:
– ernia contenuta
causata da una deformazione elastica della struttura;
– ernia espulsa
derivante dalla fuoriuscita dell’anello;
– ernia migrata
relativa all’invasione di uno spazio non pertinente del canale vertebrale.
Causata soprattutto da sollecitazioni responsabili dell’usura dell’anello fibroso, questa patologia può derivare anche dal fisiologico invecchiamento delle parti anatomiche del rachide.
Alcune malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide, l’artrosi, la scoliosi oppure altri problemi di asimmetria della colonna sono considerate concause per l’isorgenza di ernia al disco.
Si tratta di una malattia particolarmente invalidante dato che la fuoriuscita del nucleo polposo di uno dei dischi intervertebrali è in grado di comprimere le relative radici nervose innescando una sintomatologia dolorosa di fortissima intensità.
I movimenti vengono limitati quasi del tutto poiché sussiste un coinvolgimento di uno dei due arti, quello che corrisponde all’innervazione omolaterale.
La forza muscolare diminuisce drammaticamente e di norma non è possibile compiere neppure azioni per nulla impegnative.
Il dolore viene esacerbato in posizione seduta oppure eretta per lungo tempo; qualsiasi movimento involontario, come tosse, starnuti, singhiozzo possono aggravare notevolmente la situazione.
Un sintomo caratteristico è rappresentato dalla rigidità articolare che, insieme alla debolezza muscolare, impedisce qualsiasi movimento.
Dopo un’iniziale fase di compressione caratterizzata da segni d’infiammazione delle strutture nervose subentra un deficit sensitivo che può portare alla perdita di percezione degli stimoli esterni.
Successivamente il deficit diventa anche motorio, con la progressiva scomparsa di risposte neuro-muscolari e intorpidimento degli arti fino ad arrivare a una vera e propria atassia.
Dopo una diagnosi certa, il trattamento prevede riposo forzato a letto per un periodo di tempo sufficiente all’attenuazione della fase più acuta di dolorabilità.
Oltre al riposo funzionale è sempre consigliabile associare delle terapie fisiche mirate, facendo attenzione ad impostare un programma riabilitativo personalizzato.
Mantenere una corretta postura risulta fondamentale per mantenere in asse la colonna vertebrale, evitando che possa assumere posizioni non anatomiche, considerate fattori predisponenti allo spostamento dei dischi.
E’ molto importante cercare di mantenere il proprio peso-forma in quanto lo scheletro (e in particolare il rachide) svolge l’importante funzione di sostenere il corpo ed è tarato su un determinato peso.
L’assunzione di rimedi farmacologici dovrebbe essere limitata unicamente alle fasi di acuzie della malattia, cercando di non abusare del loro impiego.
La chirurgia è indicata quando si viene a creare una compromissione del midollo e quindi delle radici nervose responsabili del progressivo peggioramento del quadro clinico.
L’intervento è indicato nel caso in cui il paziente mostra problemi nella deambulazione, oppure non riesce a mantenere la postura eretta a causa dell’estrema debolezza muscolare.
La discectomia costituisce una delle più valide alternative per un efficace approccio all’ernia discale sia dal punto di vista dei risultati ottenuti che da quello della sicurezza.
L’operazione prevede l’asportazione di porzioni più o meno estese del disco danneggiato, dopo aver eliminato anche l’ernia; il chirurgo procede intervenendo sul frammento del disco erniato mediante tecniche minimamente invasive finalizzate a un rapido recupero funzionale.
In alcuni casi può essere necessario posizionare una protesi, il cui ruolo è quello di sostituire le porzioni di disco asportato tra le due vertebre coinvolte.
L’ozonoterapia prevede l’iniezione di una miscela gassosa di ossigeno e ozono da effettuarsi direttamente a livello del disco erniato, per stimolare e velocizzare il processo di guarigione.
Si tratta di un intervento di discolisi basata sul meccanismo d’azione dell’azoto che induce la disidratazione dei tessuti, eliminando progressivamente la compressione presente sulle radici nervose.
Il dolore scompare dopo poche sedute e l’intervento chirurgico non è più previsto.
Prevenzione dell’ernia
Tenendo conto che, di qualsiasi tipo si tratti, l’ernia consiste nell’estroflessione di una struttura anatomica, è intuibile come la prevenzione rappresenti un presupposto di notevole efficacia per ridurre il più possibile i trattamenti medici o terapeutici, soprattutto per quanto riguarda l’ernia al disco.
– Attività fisica
Per mantenere in buona salute la colonna vertebrale è necessario praticare regolarmente una moderata attività fisica, in grado di rallentare i processi degenerativi dei dischi, migliorando la funzionalità della muscolatura.
Nei casi di recupero da un disturbo di questo genere, vanno comunque evitate attività ad elevato impatto, come la corsa.
– Peso corporeo
E’ necessario cercare di non ingrassare in quanto qualsiasi aumento ponderale si riflette negativamente sul rachide, aumentando la forza di compressione a livello dei dischi intervertebrali.
– Seduta
Nella scelta della seduta è opportuno selezionare prodotti progettati per sostenere correttamente le schiena, assecondando le sue curve fisiologiche e cercando di prendere regolari (e frequenti) pause per camminare e mobilitare la muscolatura.
La seduta deve essere comoda, ergonomica e giustamente spaziosa.
– Postura
Mantenere una corretta postura è vantaggioso sia per mantenere l’equilibrio del corpo nello spazio, sia per camminare, sempre mantenendo la schiena dritta, con spalle e testa leggermente rivolte all’indietro.
Durante i periodi in cui si rimane seduti è necessario che l’altezza della sedia sia tale da consentire ai piedi di poggiare comodamente sul pavimento e alle ginocchia di formare un angolo di 90 gradi.
– Riposo notturno
Tenendo conto che oltre un terzo della vita viene trascorsa a letto, è indispensabile scegliere un sistema di tipo ortopedico, con rete a doghe e materasso anatomico in grado di sostenere naturalmente il corpo durante il riposo notturno, quando è molto facile assumere posizioni scorrette.