Anatomia dell’encefalo
Considerato il principale centro di controllo del sistema nervoso centrale, l’encefalo è un organo molle avvolto dalle tre membrane meningee e contenuto all’interno della scatola cranica.
Dal punto di vista anatomico esso comprende varie parti funzionalmente differenti e preposte al controllo di tutte le attività dell’organismo sia di natura fisica che psichica, e che si distinguono in:
- telencefalo (cervello propriamente detto);
- diencefalo;
- cervelletto;
- tronco encefalico.
La sua struttura submicroscopica comprende un insieme di cellule nervose (neuroni) e di fibre nervose collegate tra loro mediante sinapsi, il cui ruolo è quello di integrare ed elaborare le funzioni cognitive e motorie del corpo, oltre ai meccanismi neuro-ormonali e all’omeostasi.
Encefalo e midollo spinale sono le due componenti del sistema nervoso centrale che rappresenta il centro di controllo di tutte le attività fisiologiche dell’organismo, indispensabile per la sopravvivenza.
Contenente oltre 86 miliardi di neuroni, l’encefalo costituisce quasi il 2% del peso globale dell’individuo ed è contenuto all’interno delle 8 ossa craniche ( etmoide, sfenoide, frontale, occipitale, 2 temporali e 2 parietali).
Avvolto dalle tre membrane meningee (dura madre, aracnoide e pia madre) e circondato dal liquido cefalorachidiano, esso si trova protetto dall’esterno, per mantenere integra la sua fondamentale attività funzionale.
Oltre alle parti anatomiche sopra elencate, questa struttura nervosa contiene 4 cavità (ventricoli cerebrali) posti in connessione tra loro, il cui compito è quello di produrre il liquor prima di immetterlo a livello dell’intero SNC.
La sua anatomia microscopica presenta due tipi di elementi cellulari, che sono i neuroni e le cellule gliali (neuroglia); i primi costituiscono le unità morfofunzionali mentre le seconde fungono da supporto, offrendo sostegno e stabilità all’intera impalcatura anatomica.
Le cellule gliali inoltre sono preposte alla produzione di mielina, una sostanza che avvolge le fibre nervose chiamate appunto mieliniche e che si distinguono da altre che ne sono prive, denominate amieliniche.
Dal punto di vista istologico, l’encefalo si caratterizza per la presenza di due tipi di tessuto nervoso: la sostanza bianca e la sostanza grigia; la prima è formata da fibre nervose (assoni mielinici) e da cellule gliari, la seconda comprende i corpi dei neuroni e gli assoni per la maggior parte amielinici con una esigua percentuale di quelli mielinici, oltre a cellule gliari.
Telencefalo
Conosciuto anche come cervello propriamente detto, il telencefalo rappresenta la porzione più voluminosa dell’intero encefalo e quella maggiormente specializzata.
È formato dai 2 emisferi cerebrali separati da una profonda scanalatura che si presentano di forma semisferica e praticamente simmetrica, la cui porzione superficiale prende il nome di corteccia cerebrale, formata da uno strato laminare di sostanza grigia.
Queste due porzioni cerebrali sono collegate tra loro mediante la commessura anteriore, quella del fornice e il corpo calloso, formati da sostanza bianca e deputati a permettere un indispensabile scambio d’informazioni.
Diencefalo
Costituito sia da sostanza bianca che grigia, il diencefalo rappresenta una stazione di controllo di estrema rilevanza per tutto il SNC situato alla base della scatola cranica ed è formato da varie sezioni.
- Talamo
È la parte più voluminosa comprendente vari nuclei nervosi in comunicazione sia con la corteccia cerebrale che con il tronco encefalico. - Ipotalamo
Viene considerata una struttura di collegamento tra il sistema nervoso e il sistema endocrino, di cui controlla la produzione ormonale, anche grazie alla connessione con l’ipofisi. - Epitalamo
Comprende l’epifisi e si collega con il sistema limbico e con i nuclei della base del tronco encefalico.
Cervelletto
Caratterizzato dalla tipica forma ovoidale, il cervelletto, a dispetto delle sue dimensioni piuttosto contenute, contiene oltre il 50% di tutti i neuroni localizzati nell’encefalo.
Analogamente al cervello, anch’esso presenta due emisferi cerebellari, la cui superficie è formata da uno strato di sostanza grigia (corteccia cerebellare) mentre l’interno è costituito da sostanza bianca.
Esso si trova ai limiti della fossa cranica e sotto alla zona posteriore del cervello, circondato dall’osso occipitale e confinante con il IV ventricolo.
- Tronco encefalico
Si tratta del sistema di collegamento tra encefalo e midollo spinale, suddivisibile in tre porzioni:
- mesencafalo (apicale);
- ponte di Varolio (intermedio);
- midollo allungato (inferiore).
La sua funzione è strettamente collegata alla presenza di fasci nervosi ascendenti (sensitivi) e discendenti (motori).
Per certi aspetti il tronco encefalico viene considerato come il prolungamento del midollo spinale.
Fisiologia e funzionamento dell’encefalo
L’encefalo rappresenta un importantissimo centro di controllo delle principali funzione dell’organismo, che riguardano praticamente tutti gli aspetti della vita, e che comprendono:
- funzioni motorie;
- funzioni sensitive;
- funzioni cognitive;
- controllo ormonale;
- omeostasi.
In altre parole esso presiede alle facoltà intellettive che consentono l’apprendimento e tutte le funzioni ad esso collegate, come la memoria, la coscienza, l’attenzione, il pensiero, il linguaggio, le risposte emotive e il comportamento.
Dal punto di vista prettamente fisico, l’encefalo consente il corretto svolgimento di tutte le funzioni vitali, che si riferiscono a:
- movimento volontario;
- ritmo cardiaco;
- ritmo respiratorio;
- equilibrio e postura;
- termoregolazione;
- ritmo circadiano sonno/veglia;
- controllo sui 5 sensi.
Trattandosi di un organo altamente specializzato, l’encefalo mostra un’estrema selettività funzionale che dipende dalle sue porzioni anatomiche.
Pertanto il cervello con la sua specialistica corteccia è in grado di svolgere un ruolo di supervisione sull’intera struttura; il diencefalo funziona come stazione di smistamento riguardo alla molteplicità d’informazioni afferenti prima di trasmetterle al telencefalo; il cervelletto sovraintende a tutti gli aspetti collegati al movimento e alla postura; il tronco encefalico si comporta come area di passaggio obbligato e selettivo tra il midollo spinale e l’encefalo.
Patologie dell’encefalo: epilessia
Sono molto numerose le patologie che possono colpire l’encefalo e che, proprio in relazione alla notevolissima specializzazione delle sue porzioni, sono in grado di condizionare in maniera particolarmente incisiva l’intero organismo.

Tra esse vengono considerate sia quelle derivanti da traumi e incidenti sia altre derivanti da veri e propri processi morbosi che, a seconda della loro gravità e localizzazione, si rivelano estremamente differenti.
L’epilessia è una malattia causata da un’iperattività incontrollabile di alcune cellule nervose che costituiscono il così detto focus epilettogeno: si tratta di gruppi di neuroni il cui funzionamento diventa eccessivo e fuori controllo e che, a seconda della loro estensione, possono innescare reazioni di vario genere.
Nella maggior parte dei casi l’iperstimolazione neuronica si riferisce a un’alterazione dell’attività elettrica di cellule nervose localizzate a livello della corteccia cerebrale.
Tenendo conto che, da quanto sopra esposto, si intuisce quale sia il ruolo di questa zona dell’encefalo, è facile comprendere come le manifestazioni della malattia siano molto dissimili tra loro.
Infatti l’epilessia può manifestarsi sia sotto forma di “assenze” consistenti in periodi più o meno lunghi di perdita di conoscenza, così come sotto forma di vere e proprie crisi durante cui il paziente si muove in maniera violenta e incontrollata in seguito a un’iperstimolazione della muscolatura.
La patologia viene identificata dalla presenza e ripetizione di crisi epilettiche innescate da scariche elettriche anomale dei neuroni che interrompono transitoriamente la fisiologia funzionale del cervello.
Si può dire che si viene a creare una sorta di corto circuito per cui i neuroni non sono più in grado di svolgere normalmente le loro funzioni e quindi agiscono in maniera imprevedibile.
Come conseguenza si verifica un temporaneo black-out con alterazione dello stato di coscienza e insorgenza di comportamenti patologici e spesso autolesivi.
L’epilessia viene definita uno stato morboso quando il soggetto presenta iil ripetersi di crisi ricorrenti e spontanee, in quanto è possibile subire un evento isolato, magari in concomitanza di picchi febbrili particolarmente alti oppure come esito di un trauma cranico, senza che l’individuo venga considerato ammalato.
Si definisce focus epilettogeno il punto del cervello da cui ha origine l’attacco e che di norma è costituito da una popolazione neuronale il cui funzionamento risulta fortemente alterato.
Questi foci possono anche mantenersi silenti per lungo tempo (mesi o anni), in quanto i neuroni sani che li circondano sono in grado di inibire e neutralizzare le anomale scariche elettriche.
Per svariate cause può succedere però che l’attività inibente dei neuroni sani venga sopraffatta e che la soglia di convulsività sia superata: è proprio in tali situazioni che insorge una crisi.
Tipi di epilessia
Anche se sono descritte oltre 150 forme di epilessia, la classificazione solitamente accettata in ambito clinico prevede due categorie, che sono:
- parziali;
- generalizzate.
- Epilessia parziale
Si tratta di forme che riguardano un solo emisfero cerebrale e che possono presentarsi sotto forma semplice oppure complessa.
Nel primo caso gli eventi si manifestano in maniera lieve e quasi inavvertibile, senza mai perdita di conoscenza, mentre nel secondo caso insorge una sintomatologia più evidente che comprende perdita di coscienza e contrazioni muscolari particolarmente intense e violente.
Di solito viene interessato un solo distretto corporeo, molto spesso un arto (superiore o inferiore).
- Epilessia generalizzata
I foci epilettogeni possono essere situati su entrambi gli emisferi cerebrali e di conseguenza le crisi sono accompagnate sempre da perdita di coscienza e a manifestazioni contrattili di tipo spasmodico , che possono essere di tipo mioclonico/tonico oppure tonico/clonico.
In tali condizioni rimangono coinvolti vari gruppi muscolari, responsabili di una compromissione generalizzata dell’attività elettrica cerebrale.
Il principale rischio collegato a questa patologia riguarda l’apparato respiratorio poiché il ripetersi di crisi successive potrebbe causare un’insufficienza respiratoria fatale.
Le contrazioni della muscolatura scheletrica di tipo convulsivo che caratterizzano crisi di questo genere di norma vengono classificate in 3 tipi:
- miocloniche
si tratta di contrazioni piuttosto lievi che non destano preoccupazione e che si risolvono in breve tempo senza lasciare conseguenze; - toniche
sono contrazioni decisamente più intense che perdurano per un certo tempo e che lasciano il soggetto prostrato; esse consistono in un aumento del tono dei muscoli colpiti, che si traduce in una contrattura capace di mantenere fisso in una certa posizione il segmento corporeo interessato.
La pericolosità di tali eventi dipende dall’eventuale coinvolgimento del muscolo diaframmatico che, se messo fuori uso, può bloccare la respirazione con esiti spesso fatali; - toniche/cloniche
corrispondono a violenti spasmi muscolari alternati a rilassamento, in grado di generare vere e proprie convulsioni che tendono e ripetersi con frequenza; esse si accompagnano a movimenti disorganizzati e rapidissimi che interessano non soltanto gli arti, ma anche il tronco.
Nella fisiopatologia di questa malattie è molto importante poter discriminare precocemente il tipo di manifestazioni che la caratterizzano in quanto esse si mostrano piuttosto dissimili.
I pazienti che soffrono di assenze si distinguono per perdite temporanee di memoria che li spinge a compiere azioni di cui poi non conservano nessun ricordo.
A tal proposito si distinguono le piccole assenze consistenti in brevi perdite di contatto con la realtà, durante le quali il paziente appare distratto e soltanto in parte assente, dalle grandi assenze che prevedono vere e proprie pause di attenzione e di interazione con la realtà circostante.
Mentre nel primo caso spesso non è possibile rendersi conto che il soggetto sta vivendo una crisi, perché magari continua le sue abituali occupazioni risultando solamente distratto e poco presente, nel secondo caso invece diventa molto evidente la condizione di scollegamento con la realtà circostante che contribuisce all’insorgenza di un notevole disagio psichico ed emotivo del paziente.
Chi è affetto da questa patologia può mostrare sia piccole che grandi assenze intervallate da lunghi periodi di pausa, durante i quali l’attenzione è assolutamente normale e anche la coscienza non risulta alterata.
Esistono varie teorie che si propongono di studiare un eventuale collegamento tra eventi esterni ed insorgenza degli episodi di assenza; secondo alcune ricerche scientifiche basate su test neurologici potrebbe esistere un collegamento tra eventi particolarmente stressanti e ansiogeni e manifestazione delle crisi.
In questo senso esisterebbe quindi una matrice psico-emotiva in grado di provocare modificazioni del metabolismo dei neurotrasmettitori a livello sinaptico.
Secondo altri studi epidemiologici invece l’influenza dell’ambiente esterno non avrebbe nessuna incidenza su questi fenomeni, innescati soltanto da fattori eziologici di tipo biochimico e legati ad alterazioni biologiche.
Trattandosi di una malattia del sistema nervoso ed in particolare del cervello è chiaro che la componente psicologica può svolgere un ruolo di notevole rilevanza, soprattutto considerando la localizzazione anatomica dei foci che coinvolgono proprio la corteccia cerebrale.
Epilessia cause
Trattandosi di una patologia cerebrale, le cause che la possono provocare sono molteplici e soprattutto di vario genere in quanto contemplano sia un’eziologia prettamente organiche che altre miste.
- Alterazioni congenite
Esiste una predisposizione genetica a sviluppare la malattia che dipende sia dalla famigliarità (altri ammalati appartenenti al medesimo nucleo famigliare, anche se allargato), sia dalle condizioni con cui è stata portata avanti la gravidanza.
Infatti sembra ormai certo un collegamento tra abusi effettuati dalla gestante e manifestazioni epilettiche nel figlio; alcol, droghe e medicinali assunti in maniera sconsiderata e inopportuna sono le principali cause collegabili all’insorgenza della malattia nel bambino che può rimanere asintomatico anche per lungo tempo, se non per quasi tutta l’esistenza.
L’influenza di questi fattori nocivi incide sullo sviluppo del sistema nervoso centrale durante la vita intrauterina, contribuendo allo sviluppo di neuroni disfunzionali potenzialmente epilettogeni.
- Traumi cranici
Un trauma cranico solitamente è accompagnato dalla formazione di un ematoma, ovvero di una sacca di sangue localizzata sia a livello meningeo che all’interno dell’encefalo.
In tutti questi casi si crea una compressione della massa cerebrale e un aumento di pressione intracranica; come conseguenza l’attività elettrica dei neuroni viene notevolmente compromessa, così come la loro funzionalità.
Una simile condizione si rivela particolarmente rischiosa in caso di parto con forcipe in quanto le compressioni subite dal cranio risultano peggiorate dalla sua mancata ossificazione che rende pericolosamente esposta la massa cerebrale.
- Interventi neurochirurgici
Tutte le volte in cui si interviene chirurgicamente a livello cerebrale si creano i presupposti per alterare la funzione elettrica del tessuto nervoso encefalico.
In particolare la presenza di esiti cicatriziali è responsabile dell’interruzione della propagazione delle onde elettriche cerebrali che si trovano di fronte a ostacoli non facilmente superabili.
Proprio per questo motivo si creano delle zone (foci) in cui i neuroni non riescono a funzionare in maniera fisiologica, ma risultano iperstimolati e quindi iperattivi.
- Neoplasie cerebrali
I tumori cerebrali possono essere di due tipi, sia sotto forma di masse di tessuto nervoso incapsulato che come proliferazione invasiva di neuroni morfologicamente mutati.
In entrambi i casi l’attività elettrica cerebrale risulta fortemente modificata in quanto i potenziali d’azione non sono in grado di propagarsi correttamente attraverso gli assoni e i dendriti.
Inoltre quando insorgono carcinomi a massa si verifica una compressione delle strutture cerebrali che contribuisce a peggiorare le condizioni di malfunzionamento.
L’insorgenza di crisi di questo genere è spesso un segnale che può indirizzare il medico verso il sospetto diagnostico di forme neoplastiche del cervello.
- Ischemia dei vasi cerebrali
Il ridotto apporto di sangue al cervello così come al contrario l’emorragia cerebrale, costituiscono fattori predisponenti alla comparsa di questa patologia, in quanto in entrambe le situazioni si verifica un’interruzione della fisiologica propagazione elettrica degli impulsi nervosi.
- Malattie infettive
Alcune malattie infettive dell’infanzia come varicella, morbillo e rosolia, possono causare la perdita di funzionalità di cellule nervose in alcune zone dell’encefalo, determinando quindi la comparsa di foci.
Tali addensamenti cellulari disfunzionali solitamente rimangono quiescenti per molti anni per poi attivarsi in seguito a stimolazioni imprevedibili, che nella maggior parte dei casi non hanno nulla a che vedere con i virus responsabili delle malattie esantematiche dell’infanzia.
- Stati patologici
Forti crisi ipoglicemiche possono causare l’insorgenza di crisi epilettiche in quanto la carenza di energia di pronto intervento derivante dalla mancata disponibilità di zuccheri è in grado di modificare l’attività del cervello, il cui unico nutrimento è appunto rappresentato dal glucosio circolante.
Anche uremia oppure intossicazioni farmacologiche possono essere responsabili di tali eventi che dipendono sempre da un’alterazione metabolica del SNC.
Uno stato patologico di notevole importanza è quello riferibile agli squilibri elettrolitici che sono responsabili di modificazioni del potenziale d’azione dei neuroni e quindi della loro funzionalità.
Nella maggioranza dei casi, questa patologia è provocata da una sofferenza organica delle cellule cerebrali, ad eccezione di una piccola percentuale di casi idiopatici che sono tutt’ora sottoposti a indagini epidemiologiche in quanto tendono a guarire spontaneamente durante la fase dello sviluppo, non lasciando alcun esito nell’adulto.
Diagnosi dell’epilessia
La diagnosi dell’epilessia è piuttosto semplice, soprattutto in seguito alla ripetizione di attacchi di tipo convulsivo, in quanto le manifestazioni di assenza sono più difficilmente inquadrabili.
Oltre all’esame obiettivo dei sintomi (che spesso per la loro violenza costringono a un ricovero ospedaliero) è necessario fare ricorso ad alcune indagini strumentali come l’elettroencefalogramma.
Si tratta di un test diagnostico con il quale è possibile registrare l’attività elettrica del cervello: in oltre il 50% dei casi, il tracciato elettroencefalografico rimane modificato anche in assenza di sintomi, dato che l’attività elettrica cerebrale risulta anomala.
Altri esami che vengono di norma prescritti in questi casi sono la TAC con mezzo di contrasto e la risonanza magnetica, che hanno lo scopo di indagare la presenza di eventuali lesioni o formazioni neoplastiche.
Si può quindi dire che l’iter diagnostico dei pazienti affetti da tale sindrome procede lungo due direzioni: da un lato si concentra sulla funzionalità elettrica dei neuroni mediante l’impiego di EEG, e dall’altro si indirizza verso il rilevamento di eventuali anomalie morfologiche dell’encefalo.
In ogni caso, per la formulazione di una diagnosi certa, l’anamnesi rimane un criterio imprescindibile, in quanto la storia clinica del paziente può fornire informazioni indispensabili.
Tenendo conto che di frequente il paziente si trova in stato di incoscienza, è necessario poter contare sul contributo di osservatori esterni (parenti) che siano in grado di riferire l’andamento e l’evoluzione della patologia.
Epilessia sintomi
I sintomi più caratterizzanti della malattia sono rappresentati dalle crisi convulsive, una condizione medica caratterizzata da un insieme di violente contrazioni involontarie riguardanti uno o più gruppi muscolari, che possono essere seguite da una fase di rilassamento.
La ripetizione di tali comportamenti motori sono in grado di innescare una serie di azioni incontrollabili del corpo, potenzialmente molto pericolose.
Queste crisi possono presentarsi sotto due forme:
- toniche
si definiscono tali quegli spasmi muscolari che si protraggono nel tempo senza nessuna interruzione di allentamento della contrattura; - cloniche
sono quelle in cui si verifica una ritmica e ripetuta alternanza tra contrazioni e rilassamenti nelle varie sezioni del corpo.
In ogni caso si tratta di manifestazioni sintomatiche di un processo morboso innescato da un’irritazione di alcune aree dell’encefalo e precisamente della corteccia cerebrale.
Sono proprio tali aree ad essere responsabili del controllo sul movimento della muscolatura che, se sottoposta a iperstimolazione nervosa, risponde in questo modo.
Quando si genera un’attività elettrica incontrollata in un gruppo di neuroni contigui insorge infatti un segnale nervoso non fisiologico che pertanto genera una risposta patologica.
Un sintomo caratteristico di un attacco epilettico è la caduta spesso rovinosa del paziente che non si rende conto del sopraggiungere della crisi; queste circostanze si rivelano particolarmente pericolose in quanto il soggetto non riesce a mettere in atto nessuna tecnica difensiva e precipita a terra in maniera incontrollabile.
La perdita di coscienza è quasi sempre presente , nei rari casi in cui non si manifesti, viene sostituita da uno stato di alterata percezione della realtà circostante che non consente all’individuo di rendersi conto di quanto gli sta succedendo.
Un rischio collegato all’insorgenza delle crisi è il digrignamento dei denti con possibilità di morsicatura alla lingua; è proprio per evitare questi pericoli che viene consigliato di cercare, per quanto possibile, di introdurre un oggetto separatore tra arcata dentale superiore e inferiore, allo scopo di evitare la loro chiusura.
L’attività respiratoria di solito subisce evidenti alterazioni, consistenti in fasi di apnea alternate ad altre di respirazione forzata, allo scopo di mantenere un livello accettabile di ossigenazione del sangue.
Nel momento di massimo spasmo muscolare, come accennato, anche il diaframma rimane coinvolto nella contrattura, con successiva insorgenza di una grave insufficienza respiratoria.
Il malato soggetto a una crisi convulsiva generalmente emette grida strozzate e rumori indistinti in quanto, a causa della, parziale chiusura della glottide, sia i flussi d’aria che i suoni subiscono notevoli ripercussioni.
Sempre in seguito al mancato controllo da parte delle strutture nervose è frequente che si verifichino perdite di urine oppure di feci dato che la muscolatura degli sfinteri non è più sottoposta a nessun controllo e quindi non riesce a trattenere il materiale contenuto nella vescica e nell’intestino retto.
È possibile infine che il paziente emetta bava dalla bocca in seguito alla sospensione del riflesso di deglutizione.
Il quadro sintomatologico, che si presenta con un’estrema variabilità derivante da molti fattori eziologici, può essere preceduto dall’aura, comprendente un insieme di sintomi premonitori di natura neurologica che vengono percepiti nell’imminenza della crisi.
L’aura è facilmente riconoscibile in quanto comprende alcuni segnali tipici, che sono:
- visione di scotomi scintillanti alternati a macchie scure ed a intermittenti lampi di luce;
- particolari sensazioni olfattive oppure uditive;
- mioclonie e movimenti automatici di varie parti del corpo;
- sensazione di intorpidimento di una o più zone del corpo.
- formicolio localizzato o generalizzato agli arti superiori o inferiori;
- vertigini e capogiri;
- nausea;
- percezione di irritabilità, angoscia e ansia accompagnata da insonnia.
Come si nota esiste una stretta correlazione tra fattori organici e psichici per quanto si riferisce all’insorgenza di una crisi convulsiva; tale collegamento viene intensificato durante il suo svolgimento in quanto nella maggior parte dei casi il malato si sente terrorizzato e sconvolto di fronte a un evento così destabilizzante.
Approccio terapeutico all’epilessia
Il presupposto fondamentale per qualsiasi genere di trattamento farmacologico a cui il paziente viene sottoposto si riferisce all’importanza dell’adesione al regime terapeutico, che deve essere protratto per un periodo di tempo sufficiente per garantire la remissione dei sintomi.
È infatti possibile che i sintomi scompaiano anche per lunghi periodi, senza comunque che la malattia sia scomparsa; effettuando un EEG infatti si evidenzia la presenza di un tracciato anomalo, con onde patologiche indicative dell’esistenza dello stato morboso.
Qualsiasi interruzione precoce del trattamento farmacologico comporta elevate probabilità di provocare l’insorgenza di nuove crisi.
Tenendo conto che l’epilessia consiste in una patologia multifattoriale che, interessando l’attività elettrica del cervello può condizionate l’intero organismo, diventa necessario l’impiego di differenti principi attivi curativi.
L’epilessia può infatti essere trattata con preparati appartenenti a varie categorie farmacologiche, la cui efficacia dipende sia dalla posologia che dal tipo di associazione con altri medicinali.
È ormai noto che l’epilessia consiste in un grave disturbo neuronale che dipende dall’alterazione dell’attività elettrica cerebrale dato che i neuroni (per svariate cause) impazziscono provocando una serie di conseguenze più o meno gravi sui pazienti.
Anche nelle sue forme più lievi, questa malattia deve essere curata sempre e comunque in quanto l’evoluzione del quadro sintomatologico è assolutamente imprevedibile e soprattutto può rimanere silente per mesi e anni.
Pertanto è veramente difficile guarire dall’epilessia, a meno che l’EEG non sia in grado di evidenziare un tracciato in cui non sono più presenti alterazioni di nessun tipo e dove quindi l’attività elettrica neuronale si mostri fisiologica.
Essendo considerata una patologia rischiosa e molto pericolosa, il trattamento farmacologico deve essere mirato, adeguato alle personali esigenze e soprattutto continuativo.
I medicinali che trovano impiego in queste condizioni sono particolarmente efficaci sotto due aspetti ; infatti da un lato tendono ad eliminare i sintomi e d’altro lato svolgono un’importante azione terapeutica.
Il problema più complesso nell’impostazione del protocollo terapeutico è collegato alla scelta del medicinale in quanto sono disponibili numerosi principi attivi che devono venire testati sui singoli pazienti prima di trovare una cura personalizzata ed efficace.
La scelta del farmaco più adatto si riferisce sia ad aspetti quantitativi (dosaggio) che a quelli qualitativi (tipo di principio attivo); la prassi clinica prevede periodici dosaggi nel sangue del componente terapeutico,la cui concentrazione deve rimanere all’interno di un ben preciso range.
Se il dosaggio è inferiore alla soglia minima, la cura non risulta efficace, mentre se è superiore alla soglia massima, potrebbe dare luogo a pericolosi effetti collaterali.
La procedura utilizzata prevede l’assunzione iniziale di dosaggi minimi del farmaco che poi vengono aumentati in relazione alla risposta individuale e al dosaggio periodico.
Farmaci per l’epilessia
I farmaci anti-epilettici agiscono con differenti modalità terapeutiche, tutte riferite comunque al metabolismo neuronale a livello cerebrale.
Tra questi, i principali meccanismi d’azione sono:
- riduzione dell’attività del canale sodio e del canale calcio;
- potenziamento funzionale del GABA (neuromediatore inibitorio);
- inibizione degli aminoacidi eccitatori (acido glutammico e glutammato).
Grazie all’inibizione dei segnali elettrici neuronali, questi preparati bloccano l’attività dei foci epilettogeni e di conseguenza regolarizzano la funzionalità elettrica del tessuto cerebrale.
Gli effetti collaterali più comunemente riscontrati in questa categoria di farmaci sono:
- comparsa di esantemi e rush cutanei;
- blanda sedazione;
- prurito diffuso;
- disturbi digestivi (pirosi gastrica e dispepsia);
- epatotossicità;
- tossicità renale;
- alterazioni dell’umore.
- Fenitoina
Si tratta di un farmaco di pronto intervento per contrastare la comparsa di violenti spasmi di tipo tonico-clonico e per il trattamento di crisi convulsive con perdita di coscienza. Di norma il medicinale trova impiego in ambiente ospedaliero dove viene somministrato per via endovenosa, monitorando costantemente la sua concentrazione plasmatica in particolare nelle prime fasi del trattamento.
È necessario valutare con particolare attenzione il rapporto rischio/beneficio in quanto si tratta di un medicinale che presenta numerosi effetti collaterali e per le interazioni farmacologiche con altri medicinali.
- Acido valproico
È uno dei principi attivi anticonvulsivanti di maggiore utilizzo dato che si presenta maneggevole e con scarsi effetti collaterali; esso consente di svolgere un’attività sia terapeutica durante le fasi attive della patologia sia preventiva nei periodi di remissione.
Oltre che come antiepilettico questo medicinale viene prescritto anche in caso di sindrome bipolare, a conferma della sua efficacia a livello della modulazione dell’attività dei neurotrasmettitori.
- Topiramato
Solitamente usato come completamento di terapie primarie, questo farmaco è un ottimo rimedio preventivo anche nei confronti di cefalea a grappolo di forte intensità e come anoressizante in quanto agisce inibendo il centro dell’appetito localizzato a livello cerebrale.
- Levetiracetam
Si tratta di un medicinale di ultima generazione caratterizzato da minori effetti collaterali rispetto ad altri e quindi meglio tollerato dai pazienti, tenendo conto che deve essere assunto per lunghi periodi di tempo.
Esso è indicato soprattutto per crisi miocloniche o tonico-cloniche dato che la sua efficacia è piuttosto tempestiva e diventa attiva già dopo poche ore dall’assunzione.
- Carbamazepina
Dotato anche di azione antidolorifica soprattutto in caso di episodi di cefalea a grappolo, la carbamazepina trova impiego per contrastare crisi convulsive di tipo tonico-clonico e di crisi focali su adulti e bambini.
I suoi effetti collaterali riguardano principalmente il fegato e l’apparato renale, in rapporto al catabolismo del medicinale.
Particolare attenzione è richiesta riguardo alle interazioni con altri farmaci, la cui assunzione deve avvenire sotto diretto controllo del medico, soprattutto nella fase d’impostazione della terapia.
- Gabapentin
La sua attività è rivolta verso i recettori dell’acido gamma-amino-butirrico (GABA), che è uno dei principali neuromediatori inibitori del SNC.
Il suo meccanismo non sfrutta (come ci si aspetterebbe) un’azione GABA-mimetica, ma agisce sui canali del calcio collegati alla propagazione elettrica dell’impulso nervoso.
Il metodo di somministrazione è orale in quanto soltanto in questo modo è possibile sfruttare al massimo la sua efficacia.
- Primidone
Appartenente alla classe dei barbiturici (si tratta infatti di un derivato del fenobarbitale), il primidone è un farmaco piuttosto forte che viene prescritto in tutti i tipi di epilessia.
Il suo meccanismo d’azione si svolge a livello dei canali ionici di membrana, condizionando quindi i potenziali elettrici e la propagazione dello stimolo a livello delle sinapsi neuronali.
- Clonazepam
Questa benzodiazepina viene impiegata come terapia complementare insieme a farmaci classici anticonvulsivanti e quindi non può essere considerato un medicinale di prima scelta.
Di solito è prassi consolidata quella di associare un ansiolitico a un antiepilettico per consentire una efficace sinergia d’azione.
Il farmaco in questione è in grado di potenziare l’attività sedativa degli anticonvulsivanti contribuendo a regolarizzare i potenziali elettrici d’azione a livello delle sinapsi neuronali e consentendo una migliore propagazione dell’impulso nervoso.
Oltre ai necessari trattamenti farmacologici, questa patologia può trovare sollievo anche da un miratom regime alimentare; ad esempio la dieta chetogenica può contribuire a minimizzare efficacemente la sintomatologia.