Ruolo del fegato nell’organismo
Situato sotto al diaframma nella parte alta della zona addominale destra, il fegato è la ghiandola più voluminosa del corpo umano e svolge un ruolo indispensabile per la sopravvivenza.

Istologicamente esso è formato dagli epatociti, unità morfologiche e funzionali dell’organo, che hanno una vita di circa 50 giorni e che pertanto vengono sostituiti con un’elevata frequenza.
Il fegato per assolvere ai suoi compiti deve essere attraversato da elevati quantitativi di sangue; infatti si calcola che la massa sanguigna circolante attraverso il suo stroma sia di un litro e mezzo al minuto.
Grazie al notevole sviluppo del reticolo endoplasmatico liscio che controlla l’intero metabolismo, le cellule epatiche svolgono un importante ruolo di modulatrici a livello dell’organismo nella sua totalità.
Inoltre, servendosi dell’attività dei perossisomi responsabili della neutralizzazione delle sostanze nocive, gli epatociti detossificano molecole pericolose per il benessere dell’individuo.
Questo organo, il cui peso medio è compreso tra 1000 e 1500 grammi, possiede la caratteristica di aumentare o diminuire in rapporto alle variazioni ponderali del corpo, per garantire un’adeguata relazione funzionale.
Pur essendo parte integrante dall’apparato digerente dato che contribuisce alla realizzazione dei processi digestivi e assimilativi degli alimenti, il fegato svolge anche un’importante funzione secretoria in quanto produce la bile.
Si tratta di un liquido contenente oltre 80% di acqua e circa 12% di acidi biliari, oltre a fosfolipidi, colesterolo e lecitina; la sua funzione è quella di consentire la digestione dei grassi e delle vitamine liposolubili.
Dopo essere stata prodotta da parte degli epatociti, la bile viene immagazzinata nella colecisti, che funge da deposito fino al momento in cui non sia necessario passare nel duodeno.
Definito a ragione come il più importante laboratorio dell’organismo, il fegato svolge numerose attività indispensabili alla vita, che sono:
- metabolismo glucidico
negli epatociti viene accumulato il glicogeno, un polisaccaride di deposito il cui ruolo si attiva quando sia necessario poter disporre di glucosio plasmatico per finalità energetiche; - metabolismo lipidico
l’organo interviene efficacemente modulando la produzione di acidi grassi, come forme di deposito di calorie introdotte in eccesso, agendo sulla sintesi di colesterolo e di trigliceridi; - metabolismo degli eritrociti
il fegato partecipa all’eliminazione degli eritrociti morti recuperando le molecole di ferro legate all’emoglobina e producendo cataboliti che passano alla bile sotto forma di pigmenti; - metabolismo dell’etanolo
l’alcol etilico viene metabolizzato dagli epatociti ed è per questo motivo che gli alcolisti presentano solitamente problematiche funzionali dell’organo che nel tempo può perdere quasi del tutto la sua funzionalità; - metabolismo proteico
la distruzione delle proteine (catabolismo proteico) si verifica a livello epatico in quanto l’organo è preposto alla deaminazione degli aminoacidi in eccesso che provengono dalla digestione proteica.
In seguito a questo meccanismo d’azione, i prodotti finali del processo trovano impiego nelle gluconeogenesi, una serie di reazioni biochimiche responsabili della produzione di energia; - metabolismo dell’acido lattico
l’acido lattico è un prodotto di rifiuto che viene sintetizzato nei muscoli dopo intensi sforzi; si tratta di un composto di rifiuto che gli epatociti convergono in glucosio, un glucide facilmente utilizzabile dalle cellule; - metabolismo degli aminoacidi
grazie al processo di transaminazione, le cellule epatiche sono in grado di intervenire nella sintesi di aminoacidi non essenziali oltre che di alcune proteine plasmatiche come l’albumina, e dei fattori della coagulazione (protrombina, fibrinogeno); - metabolismo delle tossine
le scorie metaboliche vengono indicate col nome di tossine endogene da non confondere con quelle esogene che provengono dall’esterno; in entrambi i casi il fegato rende idrosolubili questi composti per facilitare la loro eliminazione attraverso la filtrazione renale; - metabolismo idrico-salino
la concentrazione di ioni salini disciolti in acqua è fondamentale per controllare la pressione osmotica, un fattore determinante per le reazioni biologiche delle cellule.
Come si nota, le funzioni del fegato sono essenzialmente collegate al metabolismo in tutti i vari aspetti che esso comporta; si può dire che non esiste nessun processo biochimico che non coinvolga gli epatociti.
Patologie epatiche
Indipendentemente dalla differente eziologia, che provoca patologie di diverso tipo, le malattie epatiche si distinguono per alcune caratteristiche comuni, che dipendono dal coinvolgimento citologico degli epatociti.
Infatti questi elementi morfologici dell’organo risentono immediatamente delle sue alterazioni fisiologiche, rispondendo con le seguenti manifestazioni:
- ittero
la colorazione giallognola della cute e delle sclere oculari dipende da un’alterazione della produzione di bile, che di norma accompagna le patologie epatiche nella quasi completa totalità; - disappetenza
essendo strettamente collegato alle funzioni digestive, il fegato ammalato condiziona notevolmente l’appetito del paziente che generalmente appare svogliato e poco incline a nutrirsi; - perdita di peso
essendo preposto al metabolismo di tutte le funzioni vitali, questo organo sovraintende anche la nutrizione e l’assimilazione degli alimenti, provocando perdite di peso anche drastiche nel momento in cui si ammala; - colorazione scura delle urine e chiara delle feci
questi segnali derivano dalla presenza di pigmenti nel liquido minzionale, che assume una colorazione tendente al marrone testa di moro, mentre le feci si schiariscono; - dolore
la sintomatologia dolorosa a carico del fegato si manifesta tardivamente poiché le fasi iniziali sono del tutto asintomatiche; questo fatto deriva dalla scarsa innervazione sensoriale dell’organo.
Il problema del dolore epatico costituisce uno degli aspetti cruciali dello studio delle patologie epatiche in quanto la maggior parte di esse hanno un esordio subdolo e poco definito, soltanto in un secondo tempo accompagnate da dolore.
Quando si presenta, esso è localizzato a livello della regione addominale centro-superiore destra, ed è associato ad un evidente aumento di volume dell’organo, particolarmente in caso di epatite acuta.
Le più comuni patologie a carico del fegato sono le epatiti, forme infiammatorie che insorgono sia per intossicazione (farmaci o alcol), sia a causa di virus (A, B, C, D, E) che per motivi ereditari.
Che cos’è l’epatite?
Si radunano sotto le denominazione di “epatite” tutte le sindromi infiammatorie delle cellule epatiche che si distinguono in due grandi categorie, e cioé:
- epatiti infettive;
- epatiti non infettive.
- Il primo gruppo comprende le patologie provocate da germi patogeni che, in seguito alla colonizzazione delle cellule epatiche, contribuiscono a renderle disfunzionali e quindi ad alterare il metabolismo globale dell’organismo.
Le forme maggiormente studiate, che sono anche quelle più diffuse, vengono identificate con le prime 5 lettere dell’alfabeto (epatite A, epatite B, epatite C, epatite D ed epatite E).
Ognuna di esse è causata da un microrganismo identificato con la sigla HV (Hepatitis Virus); si tratta di un virus in grado di colonizzare in breve tempo gli epatociti che fungono da cellule ospitanti.
Si conoscono pertanto 5 tipi di virus dell’epatite, indicati come: HAV, HBV, HCV, HDV, HEV.
Oltre a questa eziologia maggiormente diffusa, le epatiti infettive possono essere innescate anche da citomegalovirus (CMV), dal virus di EpsteinBarr (EBV), dal virus dell’Herpes Zoster e della varicella (VZV) e dal virus dell’Herpes Simplex (HSV).
Sono casi molto più rari rispetto ai precedenti e che di norma colpiscono soggetti immunodepressi e già affetti da altre patologie che pertanto si rivelano particolarmente vulnerabili alla malattia.
Bisogna infatti considerare che i virus sono in grado di colonizzare l’organismo ospitante soltanto se le sue difese immunitarie non reagiscono adeguatamente.
I virus, a differenza dei batteri che sono microrganismi dotati di una loro autonomia funzionale, non riescono a vivere al di fuori di una cellula ospitante e pertanto la loro diffusione può venire contrastata efficacemente dall’imunità del soggetto.
Questo spiega il motivo per cui le epatiti sono considerate delle patologie opportuniste, che tendono a svilupparsi su substrati favorevoli in quanto non adeguatamente reattivi dal punto di vista immunitario.
- Le epatiti non infettive sono malattie derivanti dall’ingestione di sostanze tossiche, come funghi velenosi, alimenti avariati, farmaci scaduti oppure da abuso di bevande alcoliche o anche da patologie autoimmuni.
Nei paesi industrializzati, l’epatite non infettiva più diffusa è quella conseguente all’alcolismo che si somma a un altro stato morboso, la steatosi epatica (fegato grasso), derivante da abusi alimentari associati a sedentarietà e sovrappeso.
L’epatite alcolica si sviluppa in seguito a molti anni di consumo di questa sostanza, che nel tempo provoca danni irreversibili agli epatociti; nell’uomo il consumo deve essere maggiore di 30/40 grammi al giorno e nella donna a 20 grammi.
Non devono essere sottovalutate le tossine industriali oltre alle sostanze farmacologiche, in grado di causare conseguenze piuttosto gravi sugli epatociti; ad esempio il paracetamolo è responsabile di ingenti danni epatici dosaggio-dipendenti.
Tra i medicinali che producono conseguenze nocive sulle cellule del fegato ci sono alcuni antibiotici (amoxicillina-acido clavulanico ed eritromicina), il paracetamolo, la nitrofurantoina, le statine, i contraccettivi orali e gli steroidi per uso anabolizzante.
Il diabete, l’obesità e l’ipertrigliceridemia rappresentano altrettanti fattori predisponenti all’insorgenza di patologie di questo tipo.
Appartenente alla classe delle malattie croniche, l’epatite autoimmune insorge in conseguenza a un’inadeguata risposta immunitaria rivolta verso le cellule stesse del fegato.
Tale disturbo, di notevole gravità, dipende da una reazione a sostanze dannose, come farmaci mal tollerati oppure è conseguente al trapianto del fegato.
In base alla classificazione temporale, le epatiti possono essere distinte in due tipi: cronica quando la sua durata è superiore ai 6 mesi, acuta se è inferiore.
Questa seconda tipologia a volte tende a risolversi da sola, anche se in alcuni pazienti mostra la capacità a trasformarsi in forma cronica e successivamente in cirrosi epatica, insufficienza funzionale del fegato ed infine in carcinoma epatico.
Epatite sintomi
L’epatite è una patologia che si caratterizza per un ampio spettro di manifestazioni cliniche, che variano dalla completa assenza di sintomi a una grave compromissione dell’organo.
Non è sempre facile diagnosticare questa malattia poiché spesso le sue manifestazioni sono sfumate e facilmente attribuibili ad altri disturbi, oppure, quando presenti, tendono a mostrarsi incomplete e indecifrabili.
Tale situazione dipende dal tipo di funzionalità dell’organo, che, come accennato, è collegabile al metabolismo generalizzato dell’intero organismo.
La forma acuta, a differenza di quella cronica, si riconosce per sintomi costituzionali autolimitanti, la cui manifestazione è limitata nel tempo, mentre la forma cronica evidenzia segni specifici riconducibili al lungo periodo.
- Epatite acuta
Nelle forme acute, l’epatite virale comprende vari stadi clinici.
- Stadio prodromico
Questa fase è caratterizzata da una durata che varia da 3-4 giorni fino a 2-3 settimane o che può anche mancare del tutto.
Quando è presente, essa si manifesta con una sintomatologia simile a quella dell’influenza e che comprende: nausea ed episodi di vomito, affaticamento ed astenia, disappetenza, dolori articolari, cefalea, febbre.
- Stadio conclamato
Si tratta della fase maggiormente caratterizzante della patologia, in cui si manifestano i sintomi più discriminanti che insorgono dopo circa 2 settimane dallo stadio prodromico e che hanno una durata di circa un mese.
Tali sintomi si presentano con: ittero, feci chiare e urine scure (color marsala), epatomegalia e splenomegalia.
- Stadio di recupero
In questo periodo si nota una progressiva attenuazione dei segnali sopra elencati con progressivo ritorno alla normalità dell’omeostasi; nella maggior parte dei casi si verifica quindi una completa guarigione dell’organo sia dal punto di vista morfologico che da quello funzionale entro 30-45 giorni dal momento della comparsa dell’ittero.
- Convalescenza
Questo è il periodo nettamente più prolungato, che può continuare per alcuni mesi durante i quali il paziente non si sente bene, ma continua ad accusare ancora numerosi sintomi.
Tra essi il soggetto si lamenta di notevoli difficoltà digestive, di una lieve colorazione giallastra oculare (sub-ittero), di una sensazione di pesantezza al fianco destro e di un malessere generalizzato.
- Epatite cronica
L’epatite cronica deriva da una persistente infiammazione epatica la cui durata si protrae per oltre 6 mesi; solitamente asintomatica nelle sue fasi iniziali, la patologia può essere rilevata soltanto tramite analisi di laboratorio.
Con il progredire della patologia, i pazienti solitamente manifestano sintomi generici come nausea e vomito, disappetenza, astenia e affaticamento, dolori articolari ed episodi febbrili non troppo elevati.
L’ittero non è sempre presente e se compare indica che la malattia è in uno stadio già molto avanzato.
Dato che la forma cronica può interferire con il metabolismo ormonale epatico, si possono manifestare sintomi come irsutismo, amenorrea o acne.
Il maggiore rischio collegato all’insorgenza di epatite cronica è rappresentato dalla tendenza a trasformarsi in cirrosi epatica, uno stato in cui la funzionalità dell’organo viene irrimediabilmente compromessa e le condizioni di salute del paziente si deteriorano sempre più.
Oltre a un’ittero conclamato, in questa situazione subentrano una notevole perdita di peso, sanguinamenti diffusi, raccolte di liquido con fenomeni edematosi soprattutto a livello addominale (ascite) e gonfiore nelle parti declivi del corpo (caviglie).
La cirrosi viene considerata l’anticamera di patologie molto più gravi come le varici esofagee, l’encefalopatia epatica, la sindrome epatorenale e il temutissimo carcinoma epatico.
L’epatite fulminante è una malattia di estrema gravità che consiste nella morte di gran parte degli epatociti in un brevissimo lasso di tempo.
Si tratta di una complicazione molto rara dell’epatite acuta ma che, qualora compaia, mette in serio pericolo la sopravvivenza, soprattutto in soggetti immunodepressi.
Oltre ai classici sintomi presenti nell’epatite acuta e in quella cronica, in questo caso subentra uno stato confusionale accompagnato da disorientamento spazio-temporale che può arrivare fino al coma e alla morte.
Per questa patologia non esistono terapie di alcun genere, a parte il trapianto del fegato che comunque presenta molti rischi di rigetto sia nell’immediato che a lungo termine.
Diagnosi dell’epatite
La diagnosi di epatite si basa su alcuni elementi, che sono:
- anamnesi
il paziente deve riferire l’eventuale presenza di epatite pregressa, sia in forma acuta che cronica, dato che gli epatociti che hanno subito un’alterazione funzionale conservano memoria di tale condizione; - esame obiettivo
nella maggior parte dei casi la struttura di un fegato ammalato di epatite presenta caratteristiche palpabili in grado di evidenziare una diversità di dimensioni e di forma rispetto a condizioni di normalità; - esami ematochimici
comprendono il quadro ematologico di base, oltre alla ricerca di transaminasi AST e ALT, ricerca degli anticorpi, PCR per valutare la presenza di materiale genetico del virus infettante; - tecniche di imaging
prevedono l’esecuzione di un’ecografia addome completo, con particolare riguardo dell’aspetto morfologico del fegato e delle sue dimensioni, evidenziando le parti istologicamente anomale; - TAC e risonanza magnetica
permettono di raggiungere un maggiore livello di specificità, ma risultano più invasive e con un’esecuzione più impegnativa, che pertanto viene riservata unicamente a casi sospetti e difficilmente diagnosticabili.
Epatite A
Appartenente alla categoria delle patologie infettive acute, l’epatite A è causata da un RNA virus denominati HAV.
Il contagio si verifica per via orale tramite il consumo di alimenti contaminati, oppure per contatto diretto con persone infette.
Questo virus è in grado di replicarsi a livello degli epatociti, dove colonizza velocemente le cellule per replicarsi in maniera esponenziale, venendo poi eliminato per via fecale.
Proprio per questo si parla di contagio orofecale, in quanto se vengono a contatto con feci infette, le mani possono trasmettere il virus alla cavità orale, provocando l’insorgenza della malattia.
La prevenzione dell’epatite A si basa quindi sull’adozione di specifiche norme igieniche, che prevedono il frequente lavaggio delle mani e una cottura adeguata degli alimenti.
Il decorso della malattia è generalmente autolimitante, con un’evoluzione benigna che ha una durata da due a dieci settimane; gli epatociti guariscono spontaneamente senza che l’organo subisca danni permanenti.
In rari casi è possibile che insorga la temibile complicazione di epatite fulminante, dato che non esiste il rischio di cronicizzazione.
Dopo la guarigione, il soggetto acquista un’immunità permanente che gli impedisce di venire infettato altre volte dal virus.
Rispetto all’epatite B e all’epatite C, questa patologia, sostenuta dall’HAV, si caratterizza per un decorso acuto che non cronicizza e che non evolve nè in cirrosi nè in epatocarcinoma.
Inoltre non esistono portatori cronici asintomatici della patologia, che viene pertanto trasmessa soltanto da soggetti ammalati.
La sintomatologia rimane in incubazione per un periodo di tempo anche molto lungo, compreso tra quindici e cinquanta giorni a partire dal momento del contagio.
Durante tutto questo periodo, l’epatite è contagiosa anche se in incubazione.
Epatite A sintomi
Il primo sintomo a comparire è di solito la febbre che può essere anche piuttosto alta e che è accompagnata da inappetenza e nausea.
Nei bambini di età inferiore ai sei anni, l’epatie A è completamente asintomatica, mentre negli adulti può manifestarsi con segnali comuni a quelli dell’influenza, come cefalea, dolori muscolari, astenia e disappetenza.
Soltanto dopo il periodo di incubazione, la malattia passa allo stadio conclamato, in cui risulta evidente il danno epatico costituito da ittero causato dall’elevata concentrazione di bilirubina nel sangue.
Dato che il fegato non è in grado di catabolizzarla, questa sostanza passa direttamente nelle urine che assumono una colorazione brunastra.
A volte è presente diarrea con dolori addominali, che si concentrano prevalentemente nell’area epatica.
La fase sintomatica dell’epatite A è piuttosto lunga ed è compresa tra due e dieci settimane, che possono prolungarsi in alcuni casi fino a 24 settimane.
In una piccola percentuale di casi la malattia può evolvere in grave insufficienza epatica con esito letale, che si manifesta più frequentemente su pazienti immunodepressi o anziani.
Il virus dell’epatite A si moltiplica velocemente colonizzando l’intestino e il fegato; la sua eliminazione avviene per via fecale già a partire da qualche giorno dopo rispetto al momento del contagio, continuando ad essere eliminato fino a una settimana dopo la guarigione.
Il picco massimo di contagiosità si registra dieci giorni prima della comparsa dei sintomi, in quanto in questo periodo l’eliminazione fecale del virus è massima.
Esiste un vaccino contro l’epatite A che preserva gli individui dalla possibilità di sviluppare questa malattia.
Tutte le persone non vaccinate possono contrarre il virus HAV, anche se esistono alcune categorie a rischio, rappresentate dai viaggiatori abituali, soprattutto su rotte internazionali, da tossicodipendenti, da anziani, da bambini.
Le condizioni favorenti la trasmissione del virus sono riconducibili a scarsa igiene ambientale e cattiva igiene personale, oltre ovviamente all’insufficiente controllo durante la preparazione dei cibi.
Epatite A come si trasmette?
La trasmissione dell’HAV avviene per via orofecale, ovvero mediante l’ingestione di alimenti o acque contaminate oppure il contatto con un individuo infetto.
Il virus di solito passa dalle feci ai liquidi fognari alle falde acquifere, contribuendo a contaminare la catena alimentare.
Insufficienti condizioni igieniche personali e alimentari favoriscono il contagio che porta all’insorgenza di epatite A, che può essere trasmessa anche per via sessuale, di tipo oro-anale.
Essendo piuttosto resistente alle alte temperature, il virus dell’epatite A non è facilmente eliminabile, se non tramite bollitura dei cibi per almeno dieci minuti.
Un soggetto infetto risulta contagioso da sette a dieci giorni prima che manifesti i sintomi, fino a una settimana dopo la loro remissione.
Trattandosi di una patologia virale, l’epatite A non presenta farmaci specifici ma può essere curata unicamente potenziando la funzionalità del sistema immunitario oppure assumendo farmaci antivirali.
Il trattamento con le gamma globuline consente di ottenere un’immunizzazione passiva, al contrario della vaccinazione che offre un’immunizzazione attiva.
Di solito l’impiego del vaccino anti epatite A è consigliato alle persone che viaggiano nelle zone in cui il virus è diffuso, oppure a chi effettua periodicamente trasfusioni di sangue e per tutto il personale medico-sanitario.
Bisogna comunque tenere presente che il vaccino richiede da due a quattro settimane di tempo per esplicare la sua azione, e quindi in tutti i casi in cui sia richiesta un’immunizzazione più rapida è preferibile utilizzare altri metodi.
Epatite B
Considerata la più contagiosa tra tutti i vari tipi di patologie del fegato, l’epatite B è una malattia causata dal HBV che si trasmette mediante il sangue oppure altri fluidi corporei, come saliva, sperma e secreto vaginale.
Queste modalità di contagio spiegano il motivo per cui sono proprio i rapporti non protetti a costituire la causa primaria d’infezione che si manifesta con massima frequenza nella fascia d’età giovanile, quando la promiscuità è ai massimi livelli.
I soggetti più a rischio sono appunto coloro che abitualmente hanno rapporti con partner infetti, chi svolge attività sessuale promiscua, i tossicodipendenti e tutti gli operatori medico-sanitari.
Come per molte altre patologie sessualmente trasmissibili, anche per quanto riguarda l’epatite B il contagio può derivare da parte di portatori asintomatici, che inconsapevolmente trasmettono la malattia a terze persone.
Questo stato morboso ha come organo bersaglio il fegato, sul quale provoca un’infezione a volte del tutto asintomatica, ma che in altre situazioni può essere responsabile di cirrosi epatica e forme neoplastiche.
Dato che non è ancora stata scoperta una terapia efficace contro questa malattia, l’unico mezzo efficace rimane la prevenzione da effettuare tramite vaccinazione anti HBV.
La vaccinoterapia risulta efficace a qualsiasi età e garantisce una protezione pari al 95% dei casi, con un periodo di copertura stimato di circa 25 anni e con la quasi totale assenza di sintomi avversi.
Epatite B sintomi
La tipica sintomatologia dell’epatite B comprende:
- disappetenza;
- nausea con rari episodi di vomito;
- astenia e debolezza muscolare;
- arrossamento cutaneo;
- dolore addominale;
- dolore epatico;
- ittero diffuso;
- urine brunastre e feci chiare;
- dolore osteo-articolare.
Anche in assenza di sintomi conclamati è possibile riscontrare un danno epatico, evidenziabile da indagini cliniche ecografiche.
Questa infezione può manifestarsi in forma acuta oppure cronica a seconda della sua durata; la discriminante dipende dalla reattività del sistema immunitario e dallo stato di salute del soggetto.
Anche scarse quantità di sangue oppure di altri materiali biologici infetti sono sufficienti per trasmettere la malattia, che si diffonde facilmente grazie alla notevole resistenza del virus nell’ambiente esterno.
Epatite B come si trasmette?
Le principali modalità di contagio sono:
- contagio sessuale
sono sufficienti anche piccole lesioni invisibili a occhio nudo presenti sulle mucose oppure sulla cute per consentire l’entrata del germe nell’organismo; ecco perché il contagio si realizza facilmente attraverso rapporti sessuali non protetti, di tipo vaginale, orale o anale; - contagio tattile
l’impiego di spazzolini da denti, lamette, siringhe o aghi contaminati è in grado di diffondere il virus; tali condizioni si verificano spesso tra tossicodipendenti o in caso di tatuaggi; - contagio parentale
al momento del parto si verifica una mescolanza tra il sangue materno e quello fetale; per questo motivo viene richiesto obbligatoriamente il test per l’epatite B su tutte le donne gravide che, in caso di positività, possono trasmettere la malattia al neonato.
In questi casi è prevista la somministrazione di immunoglobuline specifiche contro HBV.
I principali fattori di rischio sono rappresentati dunque dalla promiscuità sessuale e dai rapporti non protetti, dall’impiego di siringhe contaminate, dall’esposizione professionale a sangue o altri materiali biologici infetti.
La diagnosi di questa forma di epatite viene affidata alle consuete indagini sierologiche insieme alla ricerca di specifici anticorpi, che costituisce il fattore più caratterizzante ai fini diagnostici.
Le principali complicazioni della patologia di norma si manifestano a distanza di molti anni (fino a 40 anni) dal momento del contagio e comprendono la comparsa di cirrosi epatica con probabile evoluzione in epatocarcinoma.
Soltanto l’uno per cento dei pazienti può sviluppare una forma di epatite fulminante responsabile del decesso del paziente; tale evenienza è molto rara e comunque si sviluppa quasi soltanto su soggetti immunodepressi.
Il trattamento dell’epatite B prevede la somministrazione di farmaci antivirali ed immunostimolanti, oltre che di immunoglobuline specifiche da introdurre entro e non oltre 24 ore dal momento del contatto con materiale infetto.
Secondo l’OMS, nel mondo ci sarebbero più di 250 milioni di persone positive al virus HBV, in parte asintomatici e quindi portatori sani.
Questi dati piuttosto allarmanti sono indicativi del fatto che questa malattia può diffondersi con estrema rapidità, soprattutto nei casi in cui non vengano mantenute adeguate prevenzioni.
Sarebbe buona regola quella di vaccinarsi secondo le direttive proposte dall’Istituto di Sanità in quanto la malattia è praticamente diffusa in tutto il mondo e pertanto può diffondersi con estrema facilità.
Epatite C
Causata da un virus a RNA, l’epatite C è una delle patologie infiammatorie del fegato che, insieme alla A e alla B rappresenta una delle maggiori cause di morbosità di questo organo.
Si tratta di una tra le più gravi patologie epatiche, responsabile della maggiore percentuale di trapianti, e anticamera di cirrosi epatica e neoplasia al fegato.
Le modalità di contatto avvengono quasi esclusivamente per diretto contatto con sangue infettato e molto raramente per via sessuale: si tratta di una patologia tipica dei tossicodipendenti che abitualmente si scambiano le siringhe.
Anche se è contemplata una (rara) forma acuta, la malattia si presenta con scarse manifestazione e può sembrare una banale influenza; nonostante questa apparenza di scarsa aggressività, essa provoca un grave deterioramento del fegato con una notevole epidemiologia (85% dei casi).
Si tratta quindi di una forma che tende facilmente a cronicizzarsi, contribuendo a eliminare funzionalmente un numero progressivamente maggiore di epatociti.
Quando raggiunge lo stadio finale, questa sindrome risulta trattabile soltanto tramite trapianto dell’organo, con tutti i rischi connessi all’intervento.
Data la scarsa evidenza del quadro sintomatologico, la diagnosi viene effettuata quasi esclusivamente sulle analisi sierologiche che prevedono, oltre agli esami ematochimici di routine, anche la ricerca degli anticorpi anti-HCV, allo scopo di identificare con precisione il genotipo virale.
Se la concentrazione di RNA circolante è piuttosto alta, significa che l’infezione è in atto, anche senza indicazioni sintomatologiche.
Inoltre in questi casi è sempre presente un notevole incremento di transaminasi.
Per rendersi conto della gravità della malattia di norma viene consigliata una biopsia del tessuto epatico, per avere una precisa valutazione del reale danno dell’organo.
Attualmente non è ancora disponibile un vaccino contro l’epatite C.
Di per sé l’HCV non mostra particolare aggressività, ma le sue modalità di contagio per via ematica lo rendono particolarmente pericoloso non soltanto tra i tossicodipendenti, ma anche (soprattutto in passato) tra gli emotrasfusi.
Dal 1992 sono diventati obbligatori i test di screening sulla qualità del sangue da trasfondere e questo fatto ha consentito di limitare moltissimo i rischi.
Epatite B in gravidanza
Le epatiti virali in gravidanza accadono purtroppo molto frequentemente e bisogna stare bene attenti a cosa potrebbe succedere al feto.
L’insorgenza dell’epatite in gravidanza come pure durante il parto, comporta infatti una elevata percentuale di trasmissione verticale da madre a figlio , anche in rapporto al tipo di viremia della gestante.
In questi casi, secondo uno studio pubblicato su Alimentary Pharmacology and Terapeutics, la somministrazione di tenofovir nel secondo o terzo mese di gravidanza combinata con immunoglobulina HBV vaccino può impedire la trasmissione virale.
Tenendo conto che la malattia mostra una netta tendenza a cronicizzarsi e può mostrare i suoi sintomi anche a molti anni di distanza dal contagio, vengono considerati a rischio (oltre ai tossicodipendenti) tutti i soggetti che abbiano subito una trasfusione prima del 1992.
Il periodo d’incubazione è compreso tra 2 settimane e 6 mesi, con una maggiore incidenza intorno alle 5-10 settimane; inizialmente asintomatica, l’epatite C provoca poi manifestazioni facilmente confondibili con quelle dell’influenza.
Epatite C sintomi
Malessere diffuso, astenia, episodi febbrili non troppo gravi, nausea e disappetenza, vaghi dolori muscolari e addominali oltre a un facile affaticamento fisico sono i segnali caratterizzanti della patologia.
Soltanto in alcuni casi compare l’ittero, comunque sempre piuttosto contenuto, mentre di solito il fegato risulta palpabile e dolente.
Nella fase acuta, molto raramente è possibile l’insorgenza di un decorso fulminante che porta alla morte del paziente in pochissimo tempo.
Nella maggior parte dei casi invece si nota un’evidente tendenza alla cronicizzazione.
Dopo 15-30 anni dal momento del contagio è possibile una progressione della malattia in cirrosi epatica, con manifestazioni molto più caratteristiche comprendenti la comparsa di ittero, di prurito generalizzato, di nausea, vomito e crampi addominali e di febbre persistente.
La cirrosi dipende da una progressiva diffusione di tessuto fibrotico derivante dai processi di riparazione che gli epatociti mettono in atto contro il virus HCV.
La progressiva estensione di tale fibrosi provoca una grave insufficienza epatica, in seguito alla quale l’organo non è più in grado di svolgere le sue funzioni fisiologiche.
Come anche per gli altri tipi di epatite, anche in questo caso l’unico mezzo terapeutico efficace è quello rivolto al potenziamento del sistema immunitario.
A questo scopo trova impiego l’assunzione di interferoni, proteine di norma sintetizzate dal sistema immunitario quando viene rilevata la presenza di agenti patogeni (virus, batteri oppure parassiti).
I preparati terapeutici a base di interferone, che svolgono il ruolo di potenziare il sistema immunitario, sono derivati di sintesi come l’Alfainterferone, il Roferon-A o l’Intron-A.
Anche medicinali antivirali, come la Ribavirina, servono per contrastare la moltiplicazione incontrollata del HCV a livello degli epatociti.
Epatite D
Causata da un virus a RNA (HDV), l’epatite D è una patologia rara che insorge unicamente come super-infezione dell’epatite B, mostrando sintomi e conseguenza del tutto sovrapponibili ad essa.
Epatite E
Prodotta da un altro RNA-virus, anche l’epatite E è quasi assente nei paesi industrializzati, mentre rappresenta un fattore di rischio nel terzo mondo.
La sua trasmissione avviene per via oro-fecale, in scarse condizioni igieniche, e si presenta abbastanza simile all’epatite A, soprattutto per quanto si riferisce al consumo di carne e pesce crudi.