La parete uterina è costituita da tre strati che sono:
– endometrio
è quello più interno e consiste in una tonaca mucosa che riveste la cavità dell’organo;
– miometrio
è lo strato muscolare dell’utero di cui contribuisce a creare oltre il 90% dello spessore;
– perimetrio
è la tonaca sierosa esterna che riveste il fondo e il corpo, ma non i lati e la parte sopravaginale dell’organo.

L’endometrio ricopre quindi le pareti interne dell’utero e si appoggia sulla sottostante struttura muscolare del miometrio; durante il periodo fertile esso presenta uno spessore compreso tra 1 e 7 millimetri a seconda della fase del ciclo mestruale.

La sua struttura comprende:
– epitelio di rivestimento
formato da un unico strato di cellule cilindriche e ciliate alternate ad altre mucipare (secernenti muco);
– lamina propria
rappresenta lo stroma connettivale particolarmente ricco di vasi e ghiandole (responsabili della produzione di glicoproteine), ma povero di fibre e il cui spessore varia in funzione delle varie fasi del ciclo e costituisce il substrato per l’impianto dell’ovulo fecondato in caso di gravidanza.
La sua sottile porzione basale aderisce al sottostante miometrio.

A livello del collo uterino (cervice) l’endometrio presenta una tipica struttura a pliche ed è formato da cellule cilindriche ciliate che si trasformano in pavimentose nella zona pluristratificata squamosa.

La fitta vascolarizzazione comprende sia arterie rette (che attraversando il miometrio si capillarizzano sull’endometrio) sia spiraliformi (che mostrano invece un percorso tortuoso).

Le prime si trovano localizzate nel sottile strato basale, mentre le seconde si concentrano nello strato funzionale insieme al corpo delle ghiandole uterine.

Lo strato basale non subisce modificazioni istologiche, mentre quello funzionale è soggetto a modificazioni periodiche sotto l’azione della componente ormonale di estrogeni e progesterone.

Al termine della mestruazione, lo stroma uterino viene ripristinato per opera della zona basale, il cui ruolo è quello di ricostituire la zona funzionale precedentemente perdita con il flusso ematico.

Prima della mestruazione, l’endometrio appare costituito da tre strati che sono:
– compatto
è quello superficiale dove si trova il collo delle ghiandole;
– spugnoso
contenente il corpo delle ghiandole;
– basale
dove è localizzato il fondo ghiandolare.

Considerato il tessuto più attivamente dinamico dell’utero, l’endometrio attraversa ciclicamente diverse fasi, corrispondenti ai periodi del ciclo mestruale della donna in età fertile.

Dalla pubertà fino alla menopausa infatti esso subisce importanti modificazioni che si ripetono fisiologicamente ogni 28 giorni sotto il controllo degli ormoni ovarici.

Durante la fase proliferativa e rigenerativa (dal V al XIV giorno) questo tessuto si arricchisce di nuovi vasi sanguigni ed elementi cellulari, che contribuiscono ad aumentare il suo spessore.

Nella fase secretiva (dal XIV al XXVIII giorno), dopo aver raggiunto il suo massimo spessore, il tessuto diventa edematoso in seguito alla trasformazione delle cellule che si riempiono di lipidi e di glicogeno, per essere pronte dal punto di vista metabolico a un eventuale annidamento della cellula uovo fecondata.

Nel periodo mestruale infine (dal I al V giorno), se non si è verificato l’incontro tra i gameti maschili e femminile, lo strato più superficiale dell’endometrio si necrotizza e si sfalda, dando così origine al flusso mestruale.

In condizioni fisiologiche, questa parte dell’utero funziona regolarmente e ciclicamente per tutta la durata del periodo fertile della donna, che di solito ha una durata di circa 40 anni (da 13 a 53), dopo di che inizia la sua progressiva involuzione collegata alla diminuzione delle dimensioni dell’organo.

Le principali patologie che lo riguardano sono l’endometriosi e alcune forme neoplastiche.

endometriosi

Endometriosi e gravidanza

L’endometriosi è una patologia consistente nella presenza di tessuto endometriale in sedi non anatomicamente idonee, cioè al di fuori dell’utero; in tali situazioni si parla di endometrio ectopico.

Durante il ciclo mestruale, come accennato sopra, esso va incontro a varie modificazioni cicliche controllate dagli estrogeni, le medesime che si realizzano a livello delle zone non anatomicamente giuste dove esso prolifera.

La principale conseguenza di tale anomala condizione è rappresentata dal forte dolore pelvico che si cronicizza e che spesso si mostra refrattario a qualsiasi terapia antalgica.

Si distinguono due forme patologiche, che sono:
– interna;
– esterna.

Nel primo caso l’endometrio ectopico si sviluppa a livello del miometrio, ovvero in una zona dove non dovrebbe stare, ma che comunque è ancora all’interno dell’utero.

Nel secondo caso invece esso tende a colonizzare organi differenti, come le ovaie, alcune parti dell’intestino retto e della vagina, nelle Tube del Falloppio, in aree vescicali, negli ureteri oppure nella porzione sigmoidale del colon.

Altre sedi di proliferazione di endometrio ectopico possono essere extra-pelviche e interessare l’appendice, la zona periombelicale, la vulva o anche polmoni e reni.

Pur colpendo donne di qualsiasi età, questa malattia mostra una maggiore incidenza su soggetti in età fertile tra 30 e 40 anni, con una percentuale piuttosto elevata che arriva fino al 10% dell’intera popolazione femminile.

Lo sviluppo di isole di tessuto analogo all’endometrio in sedi differenti dalla cavità uterina implica le medesime modificazioni cicliche della mucosa stessa, innescando di conseguenza la sintomatologia caratteristica.

Le inclusioni di tessuto ectopico, nella maggior parte dei casi, si localizzano nella cavità addominale e in particolare a livello della porzione muscolare uterina, dove i noduli patologici si annidano tra i fasci muscolari e non raggiungono dimensioni evidenti.

Quando tali formazioni si sviluppano sul fondo dell’organo spesso contribuiscono a modificarne la forma, e tale anomalia è chiaramente visibile mediante un’indagine ecografica.

Endometriosi cause

I fattori causali dell’endometriosi non sono stati ancora chiaramente definiti: se da un lato risulta relativamente accettabile la comparsa di isole endometriche nello spessore della mucosa uterina, diventa più difficile giustificarne la presenza nelle altre sedi, spesso anche distanti da quella primaria.

Si reputa possibile che frammenti di tessuto, staccati al momento della mestruazione, anziché essere eliminati attraverso il canale cervicale, vengano sospinte verso il peritoneo che, avvolgendo numerosi organi, funzionerebbe come ponte per la disseminazione citologica.

Una volta arrivate nella cavità peritoneale, queste cellule ectopiche, grazie alla loro vitalità e alla capacità di replicarsi reagendo alle stimolazioni ormonali provenienti dall’ovaio, si installerebbero in nuove sedi.

Indipendentemente dalla loro localizzazione esse vanno incontro a una fase proliferativa sotto il controllo degli estrogeni e a una fase secretiva sotto l’influsso del progesterone.

Al momento della mestruazione, anche questi frammenti si comportano come l’endometrio fisiologico, mostrando quindi sanguinamento analogo a quello mestruale.

Ma, a differenza di quelle normali, queste cellule non sono in grado di venire emesse attraverso il canale cervicale e quindi rimangono confinate nella zona di colonizzazione.

Tenendo conto del fatto che questo fenomeno si ripete a ogni ciclo mestruale, le isole di tessuto endometriale (sollecitate ciclicamente) tendono a trasformarsi in cisti, il cui contenuto si presenta scuro, denso e catramoso.

Progressivamente si nota un aumento di volume di tali formazioni, con una sempre maggiore distensione delle pareti e una netta tendenza a causare fenomeni emorragici.

Anche se non è chiara la genesi di questo quadro morboso, soprattutto per la complessità dei fattori eziologici coinvolti, tuttavia sono state ipotizzate alcune teorie al riguardo.

Teoria metaplasica

Per metaplasia si intende indicare un’anomale trasformazione di alcune cellule che, per cause sconosciute, modificano il loro aspetto e quindi anche la funzione a cui sono preposte.

Secondo questa ipotesi, una parte delle cellule peritoneali si trasformerebbe in elementi citologici tipici dell’endometrio, svolgendo quindi le stesse attività.

Seguendo tale teoria sarebbe possibile spiegare il motivo per cui il disturbo è presente anche nell’uomo a livello di vescica e prostata, che verrebbero coinvolte dalla presenza del peritoneo con zone ectopiche di cellule.

Teoria della mestruazione retrograda

L’ipotesi scientifica che sta alla base di questa teoria presuppone che, durante il flusso mestruale, alcune cellule di sfaldamento dell’endometrio potrebbero risalire attraverso le Tube del Falloppio verso la cavità pelvica e addominale, dove si impianterebbero sulla membrana peritoneale.

Da qui esse si diffonderebbero in tutti gli organi in esso contenuti, dando origine alla tipiche isole endometriosiche, particolarmente frequenti sulle ovaie, presso lo scavo di Douglas e appunto nelle Tube del Falloppio, tutte aree contigue tra loro.

Teoria della disseminazione

Attraverso le vene pelviche, le cellule ectopiche dell’endometrio sarebbero in grado di entrare nelle vie ematiche e linfatiche, potendo così colonizzare anche organi distanti dall’apparato genitale.

Tale teoria spiegherebbe con una certa attendibilità il motivo per cui l’endometriosi si sviluppa anche a livello di organi notevolmente distanti dalla sede primaria.

Infatti una disseminazione cellulare attraverso sangue oppure linfa arriva a coinvolgere praticamente tutto il corpo.

Teoria immunitaria

Di norma il sistema immunitario è in grado di riconoscere una cellula estranea all’organismo (non-self) e quindi anche quelle endometriali che si sono distribuite in zone anomale.

Secondo l’ipotesi di un’alterazione immunitaria endoperitoneale, indotta da una mutazione genica, il sistema immunitario non sarebbe in grado di individuare gli elementi non-self, lasciando loro la massima libertà di localizzarsi in sedi non fisiologiche.

Teoria dell’impianto iatrogeno

Su alcune pazienti sottoposte a intervento di isterectomia oppure in seguito a taglio cesareo, gli esiti cicatriziali si sono mostrati zone preferenziali per l’innesto di isole ectopiche endometriosiche, confermando l’ipotesi di una possibile causa iatrogena del disturbo.

Teoria ormonale

In base a numerose ricerche scientifiche, durante la pubertà femminile, l’attività degli estrogeni avrebbe indotto la trasformazione di gruppi di cellule destinate ad altre funzioni in elementi endometriali, che quindi risulterebbero ectopiche.

A questo proposito si sono sviluppate molte ipotesi farmacologiche fondate sull’utilità d’impiego dei contraccettivi orali a basso contenuto di estrogeni e ad alto contenuto di progesterone che potrebbero contenere l’evoluzione della patologia, rivelandosi quindi i medicinali d’elezione per la sua cura.

Endometriosi sintomi

Per oltre il 25% delle donne che soffrono di questo disturbo, la malattia è asintomatica e viene generalmente diagnosticata nel corso di una normale visita di controllo, di solito completata con ecografia addominale e transvaginale.

Spesso la diagnosi è conseguente anche a interventi chirurgici effettuati per altri motivi e che evidenziano la presenza di tessuti ectopici in determinati organi.

Nel 60% dei casi le forme di sterilità dipendono da endometriosi e quindi donne che non riescono a rimanere gravide possono soffrire di questo disturbo.

Quando è invece sintomatica, la patologia si presenta con i seguenti segni:

– dolore pelvico cronico
si tratta di una condizione dolorosa che interessa la parte bassa del tronco a livello del bacino, delimitata in alto dall’addome e in basso dal perineo.
Esso può essere acuto e improvviso oppure sordo e graduale, ma la caratteristica che lo accomuna all’endometriosi è la sua persistenza e insensibilità alle tradizionali terapie farmacologiche antalgiche;

– dismenorrea
il dolore mestruale è un sintomo abbastanza comune nelle donne durante il loro ciclo, ma diventa allarmante quanto si presenta con notevole intensità e con presenza di mal di schiena, nausea, vomito, sbalzi pressori (di solito ipotensione), astenia, lombalgia, vertigini ed eccessiva tensione mammaria:

– dispareunia
consiste in uno stato doloroso avvertito dalla donna nella penetrazione durante i rapporti sessuali, soprattutto in prossimità della zona vaginale.
Spesso associata al vaginismo, essa colpisce oltre il 15% della popolazione femminile in età fertile e oltre il 45% dopo la menopausa;

– defecazione dolorosa
quando la donna avverte un costante dolore durante l’emissione delle feci accompagnato da una sensazione di peso a livello dell’osso sacro, una delle probabili cause è da ricercare appunto nell’endometriosi;

– irregolarità mestruali

molte alterazioni del ciclo mestruale, come abbondanti perdite di sangue con le mestruazioni (menorragia) oppure comparsa di perdite ematiche nel periodo intermestruale (menometrorragia) sono segnali da collegare al disturbo endometriale;

– sanguinamento rettale

se non dipende dalla presenza di emorroidi oppure di fistole anali, il sanguinamento rettale può essere provocato da endometriosi con localizzazione di isole ectopiche a livello della porzione prossimale dell’intestino;

– sterilità

tra le varie cause di sterilità, anche l’endometriosi ha un’incidenza molto notevole e deve quindi venire ipotizzata quando si affronta un percorso di questo genere;

– affaticamento

una stanchezza immotivata che si prolunga nel tempo costituisce un altro campanello d’allarme per la malattia;

– masse pelviche dolenti

quando durante una normale visita di controllo vengono evidenziate masse dolenti a livello della zona pelvica è possibile ipotizzare la presenza di formazioni ectopiche.

Uno dei sintomi più caratterizzanti è riconducibile alla comparsa di una dismenorrea tardiva, che insorge dopo parecchi anni di mestruazioni non particolarmente dolorose.

Il dolore, che insorge prima e durante il flusso, spesso continua anche al termine del ciclo, di solito unito all’incontenibile necessità di urinare.

Nei rari casi in cui il tessuto ectopico si localizzi a livello polmonare, può succedere che durante il periodo mestruale la donna perda sangue dalla bocca (emottisi).

La principale difficoltà che si collega alla diagnosi di questo stato morboso è rappresentata dal fatto che inizialmente esso è assolutamente asintomatico e poi manifesta segnali contrastanti e per nulla caratterizzanti, che possono complicare il quesito diagnostico.

Conseguenze dell’endometriosi

L’endometrio ectopico, pur essendo un tessuto che mostra caratteri patologici, si comporta in tutto e per tutto come una struttura normale, sfaldandosi ogni mese sotto l’influsso degli ormoni sessuali (estrogeni e progesterone).

Quando la malattia interessa l’interno della cavità pelvica, le lesioni derivanti possono causare la formazione di aderenze tra i vari organi, che contribuiscono a complicare ulteriormente la già precaria situazione.

Le conseguenze delle lesioni di questo genere dipendono dalla gravità della patologia, dalla sua estensione e localizzazione e dal periodo di permanenza nell’organo coinvolto.

Le cisti endometriosiche solitamente hanno un diametro compreso tra 2 e 5 centimetri e non presentano quasi mai caratteri di malignità (1% di probabilità di degenerare in carcinoma).

Costituita da fasce di tessuto fibroso-cicatriziale, le aderenze uniscono in maniera anomala parti di organi di norma separati, come conseguenza di processi infiammatori derivanti dalle perdite ematiche.

La principale conseguenza di questa patologia è rappresentata dalla sterilità, che riguarda oltre il 40% dei soggetti che soffrono di tale stato morboso.

Il fenomeno si verifica quando le isole ectopiche modificano i rapporti anatomici tra ovaie e Tube di Falloppio, creando un impedimento meccanico alla fecondazione.

Nei casi in cui tale ostruzione è minima e quindi il concepimento potrebbe avere luogo, la presenza del tessuto ectopico contribuisce a creare un ambiente ostile alla fecondazione, a causa dell’insorgenza di meccanismi autoimmuni locali fortemente lesivi sui gameti oppure (in caso di concepimento) sull’embione che viene abortito.

Una complicanza non frequente (3-8%) si riferisce alla possibile degenerazione del tessuto ectopico in neoplastico, con insorgenza del carcinoma endometriale, localizzato principalmente a livello delle ovaie.

Endometriosi intestinale

Quando il tessuto ectopico si innesta sulla mucosa dell’intestino, si parla di endometriosi intestinale, una patologia spesso sovrapponibile al colon irritabile.

Si tratta di una malattia dalla diagnosi non immediata e che pertanto richiede indagini approfondite sia dal punto di vista anamnestico sia da quello clinico.

La somiglianza dei sintomi con quelli del colon irritabile di solito trae in inganno i medici che si trovano di fronte a un quadro morboso estremamente complesso.

I pazienti infatti sono affetti da tutte le manifestazioni tipiche di un disturbo intestinale (dolore, dispepsia, flatulenza, diarrea oppure stitichezza) accompagnate da sanguinamento.

Di fronte a qualsiasi perdita ematica, anche di piccola entità, è sempre necessario approfondirne la causa dato che potrebbe trattarsi di patologie gravi come il carcinoma intestinale.

Il segno discriminante che consente di orientarsi verso una diagnosi sicura di endometriosi dipende dalla presenza di sanguinamento intestinale nel medesimo periodo delle mestruazioni.

In questo caso quindi, tenendo presente che in altri periodi non vi sono perdite ematiche, la diagnosi può orientarsi verso l’endometriosi intestinale.

Tale patologia, più comune di quanto di possa pensare, presenta anche altri sintomi tipici, che sono:
– forte dolore durante la defecazione;
– oppressione gravativa nel fondo-schiena;
– perdita di sangue nei giorni corrispondenti al flusso mestruale;
– emissione di feci ricoperte di una patina mucosa;
– alterazione dell’alvo intestinale;
– meteorismo e flatulenza.

Anche in queste circostanze l’approccio terapeutico più indicato rimane quello ormonale che, mettendo a riposo l’utero, lo fa anche con tutti gli organo colonizzati con le formazioni endometriosiche.

In casi particolarmente gravi oppure refrattari alle cure orali di tipo ormonale è indicato ricorrere all’intervento chirurgico, consistente nella rimozione del tessuto anomalo in porzioni oppure in tutta la sua totalità.

Endometriosi cura e approcci terapeutici

I problemi collegati all’approccio terapeutico dell’endometriosi sono numerosi e piuttosto complessi.

Il presupposto indispensabile per affrontare qualsiasi protocollo curativo è quello di poter contare su una diagnosi certa, che deve essere formulata da uno specialista in ginecologia.

Endometriosi diagnosi

Oltre all’esame obiettivo della paziente, il medico può avvalersi di numerose indagini, comprendenti un’ecografia addominale, una transvaginale e, in casi di particolare gravità, anche di prelievi bioptici mediante laparoscopia e laparotomia.

La specificità e la sensibilità dell’eco trans-vaginale sono elevatissime e permettono di visualizzare immagini molto chiare dello stato delle strutture anatomiche analizzate.

Si tratta di un’indagine non invasiva consistente nell’introduzione di una sonda all’interno dell’apparato genitale femminile, che riporta su uno schermo la morfologia degli organi interessati ed evidenzia maggiormente l’endometriosi pelvica.

Nel caso della laparoscopia invece vengono introdotte sonde chirurgiche con finalità diagnostiche in grado di asportare frammenti di tessuto da sottoporre a biopsia.

In alcuni casi è consigliabile il dosaggio plasmatico del CA-125, un marker proteico che si trova sulla superficie epiteliale di pleura, peritoneo, endometrio, cervice uterina e tube di Falloppio.

Questa analisi svolge un ruolo discriminante in caso di dubbio diagnostico tra endometriosi e carcinoma all’ovaio: nel primo caso (endometriosi) il CA-125 si mantiene entro limiti moderati, mentre nel secondo caso (carcinoma ovarico) diventa elevatissimo.

Bisogna tenere conto che la diagnosi di endometriosi è una delle più difficili per la concomitanza di numerosi segnali contrastanti e soprattutto per la mancanza di un sintomo caratterizzante.

Nelle forme più lievi di questa patologia, la tendenza generale è quella di non intervenire, aspettando l’evoluzione naturale dell’endometriosi, monitorandola per almeno un anno, in quanto in alcuni casi si assiste a una remissione spontanea dei sintomi.

Nelle forme di intensità moderata o grave è necessario pianificare una terapia farmacologica o chirurgica, la cui scelta dipende dalla concomitanza di tre fattori, che sono:
– la gravità della patologia;
– il desiderio di riproduzione;
– l’età della paziente.

Terapia farmacologica

La terapia farmacologica per l’endometriosi si serve di farmaci antodolorifici e di preparati ormonali.

– Terapia antidolorifica

La terapia antidolorifica si basa sull’assunzione di farmaci come i FANS e il paracetamolo combinato con la codeina.

Si tratta di una terapia soltanto sintomatica che ha unicamente lo scopo di alleviare la sintomatologia dolorosa nei casi in cui essa alteri notevolmente la qualità di vita della paziente.

Per quanto riguarda l’impiego dei FANS è necessario tenere presente che l’uso prolungato di questi principi attivi si può rivelare gastro-lesiva e quindi andare a peggiorare una situazione già compromessa.

Pertanto è sempre opportuno associare a questi farmaci anche dei protettori della mucosa dello stomaco, che in alcuni casi sono in grado anche di svolgere un’azione benefica sui tessuti ectopici.

Trattandosi di una patologia multifattoriale, ma con una componente flogistica, la terapia antinfiammatoria costituisce un mezzo efficace se assunta a dosaggi controllati.

– Terapia ormonale

Gli estrogeni rappresentano il fattore principale responsabile dell’insorgenza della malattia, in quanto stimolano i tessuti ectopici nella stessa maniera in cui stimolano l’endometrio normale.

Basandosi su questa considerazione, lo schema terapeutico maggiormente impiegato prevede un trattamento ormonale con sostanze antiestrogeniche, che appartengono nella maggioranza dei casi ai progestinici.

Questi derivati del progesterone provocano una progressiva riduzione delle isole endometriali ectopiche, con successiva atrofizzazione; pur essendo efficaci, essi agiscono lentamente e quindi devono essere utilizzati soltanto quando non sussiste la necessità di intervenire per ottenere risultati immediati.

Il danazolo è un derivato degli ormoni androgeni che agisce riducendo il livello di estrogeni e progesterone circolanti; come conseguenza si verifica un’intensa atrofizzazione dell’endometrio e un blocco dell’ovulazione.

Gli analoghi sintetici dell’LH-RH sono farmaci che agiscono a livello ipofisario, bloccando la sua secrezione ormonale: come conseguenza l’ovaio non produce più estrogeni e l’utero viene mantenuto a riposo.
Attualmente rappresentano i medicinali che trovano maggiore impiego.

Gli antagonisti delle gonadotropine derivanti da ormoni androgeni agiscono a loro volta riducendo le concentrazioni di progesterone ed estrogeni, portando all’atrofizzazione l’endometrio ectopico.

Gli estrogeni combinati vengono selezionati in base al loro meccanismo d’azione per ottenere una funzionalità sinergica che da un lato blocca l’ovulazione e d’altro lato protegge l’endometrio da qualsiasi rischio di degenerazione.

Terapia chirurgica

Il ricorso alla terapia chirurgica è giustificato in tutti i casi in cui le cure farmacologiche non sortiscono alcun effetto e la patologia tende a progredire con un andamento inarrestabile.

Gli approcci possono essere di due tipi:
– chirurgia conservativa;
– chirurgia demolitiva.

– La chirurgia conservativa, come indica il termine, trova largo impiego per la pazienti desiderose di procreare in quanto non modifica la struttura morfologica né la funzionalità dell’apparato genitale.
Si tratta quindi di una soluzione obbligata per la cura della sterilità.

Di norma essa viene eseguita mediante tecniche di laparoscopia oppure di laparotomia e prevede l’eliminazione delle aderenze pelviche contestualmente alla distruzione delle lesioni endometriosiche di minori dimensioni.

La laparoscopia consiste in un’operazione chirurgica addominale che viene effettuata soltanto attraverso piccole incisioni (da 0,5 a 1,5 centimetri) tramite cui si inserisce il laparoscopio.

Questo strumento è formato da un contenitore rigido a forma cilindrica fornito di due canali ottici di cui il primo è deputato a portare luce all’interno, mentre l’altro trasmette allo specialista l’immagine dell’organo che si deve analizzare.

In questo caso, la tecnica operatoria prevede la formazione di 3-4 piccoli fori che si trovano:
– a livello dell’ombelico;
– a livello dell’attaccatura dei peli pubici;
– lateralmente.

Attraverso uno di questi fori viene inserito un sofisticato strumento a fibre ottiche, in grado di consentire al chirurgo di osservare la cavità peritoneale, che viene adeguatamente ingrandita su uno schermo del monitor collegato.

Per poter lavorare meglio è indispensabile che venga introdotta anidride carbonica in soluzione gassosa, per distendere l’addome e permettere una migliore esplorazione del campo operatorio.

Anche se poco invasiva, la laparoscopia presuppone un’anestesia totale, che consente di intervenire senza che la paziente avverta alcun dolore; l’anestesia epidurale non è invece consigliata per la delicatezza dell’intervento.

Per quanto riguarda invece l’asportazione degli endometriomi più voluminosi, generalmente si procede con una vera e propria escissione chirurgica, dato che essi possono misurare anche fino a 10 centimetri di diametro.

Sempre più diffusa per il trattamento dell’endometriosi, la laparoscopia prevede una procedura minimamente invasiva e che consente di ottenere ottimi risultati, a patto che venga eseguita da mani esperte.

Una delle più frequenti complicanze consiste nell’insorgenza di infezioni poiché il campo operatorio “chiuso” può rappresentare un potenziale rischio per la moltiplicazione dei batteri.

I protocolli terapeutici prevedono quasi sempre di effettuare una terapia antibiotica preventiva per scongiurare queste evenienze.

Interventi conservativi in laparoscopia garantiscono una ripresa estremamente rapida e una completa guarigione entro pochi giorni, contribuendo a velocizzare la guarigione.

– La chirurgia demolitiva, indicata in casi particolarmente gravi ed estesi, prevede la rimozione completa delle lesioni endometriosiche accompagnata da isterectomia totale e ovariectomia bilaterale.

Con questo intervento la donna perde la possibilità di procreare in quanto vengono asportati sia utero che ovaie.

Viene eseguita una terapia farmacologica, propedeutica all’ntervento, scelta dal medico e che ha lo scopo di eliminare la flogosi e nello stesso di preparare l’organismo all’asportazione dei vari organi.

Quando le isole ectopiche sono limitate a zone anatomiche circoscritta si può valutare un’eliminazione parziale delle aree interessate; se invece esse si sono diffuse a tutto l’apparato diventa necessaria una totale asportazione.

Scegliendo questa seconda opzione il risultato è definitivo, ma la donna perde la possibilità di avere figli e quindi tale scelta è consigliabile soltanto in alcune circostanze.

Tenendo conto che comunque l’endometriosi è strettamente collegata all’impossibilità di procreare, prima di un qualsiasi intervento chirurgico è opportuno valutare con attenzione il rapporto rischio/beneficio.

Alcune donne infatti non accettano psicologicamente l’asportazione completa dell’intero apparato genitale che, pur dimostrandosi la scelta più risolutiva, è anche quella maggiormente invalidante.

Il fattore discriminante rimane la gravità della patologia e i distretti invasi dalle isole ectopiche che generalmente si localizzano a livello delle ovaie e delle Tube del Falloppio.

In tutti gli altri casi in cui l’endometriosi invade zone più distanti, come vescica, sfintere anale, polmoni oppure apparato renale, l’indirizzo terapeutico maggiormente seguito è quello di interventi conservativi il cui scopo è quello di non asportare il tutto, ma una sua parte.

Bisogna tenere presente d’altro canto che in seguito a interventi conservativi, oltre 40% delle pazienti può essere soggetta a recidive entro 5 anni e quindi ripresentare la formazione di zone ectopiche.

Studi condotti su donne soggette a endometriosi non collegata a sterilità hanno mostrato che il parto vaginale minimizza il rischio di recidive mentre quello cesareo lo aumenta.

Protocollo terapeutico dell’endometriosi

Il protocollo terapeutico maggiormente seguito per questa patologia prevede degli step successivi; innanzitutto è necessario arrivare a una diagnosi precisa, obiettivo non sempre facile da raggiungere.

In base al grado si severità del disturbo è poi indispensabile iniziare con un approccio farmacologico mediante somministrazione di ormoni in grado di inibire l’attività ovarica.

In questo modo si mette a riposo l’apparato genitale per un tempo variabile e stabilito in base all’estensione dell’invassione ectopica.
I preparati ormonali possono essere progestinici sintetici, testosterone oppure estro-progestinici a somministrazione continuativa.

Di solito si imposta un certo numero di cicli che, dopo un’interruzione di due mesi, devono essere ripetuti per almeno un anno prima di poter osservare qualche miglioramento.

Nella maggior parte dei casi l’iter curativo prevede due anni di somministrazione di ormoni che devono essere assunti a cicli di quattro mesi intervallati da due mesi di pausa.

Con queste terapie la malattia mostra un’iniziale remissione che comunque non è definitiva in quanto può gradualmente ripresentarsi alla sospensione del trattamento.

Tale indirizzo terapeutico è indicato per donne giovani, che desiderano avere figli e per le quali il desiderio di maternità prevale sull’esigenza di una cura radicale e definitiva.

Attualmente viene impiegata la terapia soppressiva a base degli analoghi sintetici del Releasing Hormon, il quale, agendo sull’encefalo a livello dell’ipofisi, provoca indirettamente un’evidente diminuzione nella sintesi estrogenica.

Si tratta di un meccanismo indiretto di feed-back che, anche se presuppone tempistiche più dilatate, mostra un’elevata efficacia.
Infatti tale procedura porta all’insorgenza di una menopausa precoce che, mettendo a riposo l’attività uterina, contribuisce a migliorare l’endometriosi.

Soltanto se questo iniziale approccio non ha successo e se la vita della paziente risulta fortemente compromessa soprattutto dal punto di vista del dolore associato alla patologia, diventa necessario ricorrere all’intervento chirurgico.

Qualora le lesioni interessino in maniera importante anche alcuni tratti dell’intestino, può configurarsi l’ipotesi di resecare le porzioni interessate con conseguente stomia dei due monconi.

Un intervento specifico è previsto in caso di sterilità conseguente alla patologia che spesso provoca aderenze all’interno della pelvi responsabili dell’alterazione di pervietà delle tube.

In conclusione, una guarigione dall’endometriosi non è garantita, in quanto è possibile unicamente contenere i sintomi ed evitare la sua propagazione a zone sempre più ampie di organi extrauterini.

Mediante protocolli terapeutici mirati e personalizzati secondo le singole esigenze delle pazienti, viene consentita una gestione molto vantaggiosa della patologia.

Secondo le più recenti linee guida, anche l’alimentazione può intervenire riducendo da un lato il rischio di sviluppo dell’endometriosi e d’altro lato l’entità dei sintomi qualora essa sia già presente.

Il regime nutritivo più indicato per questo disturbo deve contenere elevate quantità di vitamine e minerali, che, migliorando il metabolismo di tutte le cellule dell’organismo, limita la diffusione dei tessuti ectopici responsabili di questa malattia.

Ancora una volta quindi è necessario nutrirsi con frutta e verdura fresche, preferibilmente di stagione, di cui è necessario consumare almeno cinque dosi giornaliere.

Oltre ad esse è consigliabile privilegiare proteine e grassi di origine vegetale, eliminando totalmente quelli di origine animale.

Come per altre diete, anche in questo caso è utile limitare il consumo dei carboidrati raffinati sostituendoli con quelli integrali.

Un’adeguata percentuale di fibre alimentari contribuisce a migliorare non soltanto la funzionalità digestiva ma anche l’assorbimento dei principi attivi utili per l’omeostasi metabolica.