Come può essere definito il dolore

Definito come un’emozione particolarmente sgradevole, il dolore è una percezione sensitiva provocata da stimolazioni di vario genere in grado di stimolare specifici recettori, denominati nocicettori.

Si tratta di strutture anatomiche costituite da gruppi di cellule nervose (neuroni sensitivi) da cui partono fibre afferenti dapprima al midollo spinale e successivamente alle aree sensoriali dell’encefalo.

Con il vocabolo “nocicezione” si indicano tutti i meccanismi di trasmissione delle stimolazioni dolorose, che hanno sempre un’origine periferica dipendente appunto dalla localizzazione dei recettori del dolore.

L’interazione delle differenti zone cerebrali deputate ad elaborare i segnali di tipo nocicettivo consentono la loro presa di coscienza, che porta quindi all’insorgenza del dolore realmente percepito.

Trattandosi di una percezione estremamente complessa, il dolore può venire analizzato in base a diverse componenti, che sono:

Dal punto di vista essenzialmente percettivo il dolore può essere distinto in:

Fisiologia del dolore

Pur essendo sempre e comunque un’espressione di patologie di vario genere, il dolore si caratterizza per una sua fisiologia in quanto la sua manifestazione segue un percorso ben definito sia dal punto di vista anatomico che da quello funzionale.

Si tratta infatti di un fenomeno assolutamente compatibile con certe condizioni che, pur essendo molto sgradevoli o addirittura intollerabili, fanno parte dell’esistenza.

Lo stimolo doloroso, come accennato, viene provocato da cause esterne che coinvolgono i nocicettori seguendo un percorso ben definito il cui traguardo è rappresentato dall’encefalo.

Il percorso della stimolazione nocicettiva è il seguente:

-midollo spinale
è costituito da una porzione (materia grigia) localizzata all’interno della colonna vertebrale che contiene due fasci sensitivi: quello spino-talamico con decorrenza ascensionale verso il talamo (una specifica porzione del cervello), che trasmette stimoli di tipo cutaneo, somatico e viscerale e il fascio spino-reticolare in grado di trasmettere stimoli di tipo viscerale e somatico;

Componente celebrale del dolore

A livello cerebrale si realizza la decodificazione dello stimolo nocicettivo che comunque ha già subito una notevole discriminazione durante il suo percorso ascendente, come evidenziato dai due fasci spino-talamico e spino-reticolare.

Dai nuclei bulbari coinvolti nell’analisi dello stimolo partono le vie discendenti (centrifughe) deputate alla modulazione percettiva del dolore mediante neurotrasmettitori; le vie neuro-muscolari che arrivano a livello delle fibre muscolari per consentire la reazione motoria al dolore e infine le fibre che terminano sull’apparato cardio-vascolare e respiratorio, ugualmente coinvolti nella gestione del dolore.

Per capire bene la componente cerebrale del dolore è infatti necessario valutare il fatto che la maggior parte degli apparati dell’organismo risultano più o meno coinvolti nella sua gestione; tra questi un ruolo predominante è sicuramente quello del cuore (tachicardia algica), dei vasi (ipertensione da rimbalzo), del respiratorio (iperventilazione oppure ipoventilazione riflessa).

A livello mesencefalico si verificano le reazioni emozionali agli stimoli dolorosi e da questa area hanno origine le fibre che regolano le risposte neuro-endocrine in relazione al coinvolgimento delle ghiandole endocrine.

Nel talamo, situato già a livello della corteccia cerebrale, si verifica la discriminazione tra le varie stimolazioni nocicettive, con la localizzazione della provenienza dello stimolo, la sua intensità e la sua natura.

Si può quindi affermare che il ruolo del cervello risulta fondamentale per l’elaborazione delle sensazioni dolorose che, per arrivare a livello cosciente e quindi per essere elaborate, devono attraversare diverse stazioni di passaggio.

Il dolore infatti si caratterizza per una componente oggettiva che dipende dalla natura dello stimolo e da una soggettiva derivante dalla sua elaborazione personale.

Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato come il medesimo stimolo algico può innescare reazioni nettamente differenti a seconda dei diversi pazienti proprio in quanto l’elaborazione personale risulta assolutamente soggettiva.

La modulazione di percezione dolorifica sovraspinale rappresenta quindi un aspetto di estrema rilevanza a livello clinico perché consente di impostare un’adeguata terapia antidolorifica.

Bisogna infatti tenere presente che il dolore rappresenta un fattore quasi sempre presente in caso di patologie di varia natura e che quindi contribuisce ad aggravare lo stato del paziente.

Per questo motivo è stata formulata una scala del dolore che, in base a ricerche effettuate sia sulla sua componente oggettiva che su quella soggettiva, ha permesso di quantificare in gradi (10) l’intensità delle stimolazioni nocicettive.

La modulazione del dolore si verifica attraverso la liberazione di neurotrasmettitori, sostanze appartenenti per la maggior parte alla classe degli oppioidi endogeni, la cui produzione varia da individuo a individuo.

Gli oppioidi endogeni, che sono macropeptidi idrolizzati da parte di specifici enzimi, si distinguono in:

Esistono tre tipi di recettori su cui gli oppioidi endogeni vanno ad agire, secondo un ben preciso ordine di affinità e selettività.
Si tratta di recettori μ (i più numerosi) deputati ad una modulazione ubiquitaria del dolore; recettori δ, finalizzati al controllo neuro-endocrino e recettori κ limitati al controllo dolorifico a livello gastro-intestinale.

Tutti gli oppioidi endogeni inibiscono la trasmissione dello stimolo algico riducendo la funzionalità dei nocicettori, minimizzando il rilascio dei neurotrasmettitori e bloccando la trasmissione dello stimolo a livello corticale.

La soglia del dolore, che consiste nel grado di tollerabilità alle stimolazioni algiche, è strettamente collegata alla quantità di oppioidi endogeni prodotti dal singolo organismo.

Tale produzione viene influenzata da numerosi fattori e mostra una notevolissima variabilità nel tempo: questo significa che lo stesso tipo di stimolo nocicettivo può innescare una percezione algica molto diversa a seconda del momento.

Per la formulazione della scala del dolore è stato inevitabile fare riferimento appunto alla soglia di tollerabilità, prendendo in considerazione un’elevata quantità di fattori.
Dalla comparazione di tabelle statistiche è stato quindi possibile compilarla.

Da cosa dipende il dolore

Con il termine di nocicezione si intende indicare l’insieme dei meccanismi di trasmissione delle stimolazioni dolorose dalla periferia al sistema nervoso centrale, in quanto il dolore presenta sempre e comunque una direzione centripeta.

È dall’interazione delle diverse aree cerebrali che dipende l’elaborazione del segnale nocicettivo e la sua conseguente presa di coscienza.

Il dolore è solitamente accompagnato da reazioni di difesa più o meno intense e a contenuti di coscienza legati ad esperienze emozionali ed ansiose.

Il dolore infatti dipende contemporaneamente sia da stimoli oggettivi che soggettivi (soglia del dolore).

Si tratta sempre di una sgradevole esperienza derivante da un’evidente fusione tra corpo (sede primaria della stimolazione algica) e mente (responsabile della percezione), tanto che in molti casi si parla di genesi psico-somatica del dolore.

L’organismo, per affrontare l’esperienza dolorifica, è portato a metter in atto una serie di adattamenti che gli consentono di avvertire e di limitare l’impatto di questo genere di esperienze.

Nella stragrande parte delle forme morbose, il dolore è espressione di una sofferenza in atto che consente la formulazione della diagnosi: a tal proposito è sconsigliabile fare ricorso all’impiego di farmaci anti-dolorifici sintomatici prima di aver capito la causa scatenante del dolore.

D’altra parte questa nociva sensazione è sempre motivo di abbattimento e di preoccupazione per il malato che inevitabilmente cerca di eliminarla il più presto possibile, anche prima della formulazione della diagnosi.

Si definisce somatico il dolore derivante dalla stimolazione dei recettori superficiali, localizzati sulla cute, sui tessuti sottocutanei, sui muscoli e sui tendini.

A seconda del tipo d’insorgenza, questa manifestazione può essere spontanea oppure indotta da movimenti oppure da sforzi; a seconda della sua natura essa può essere gravativa, puntoria, pulsante, trafittiva, oppressiva, terebrante, lancinante oppure costrittiva.

In rapporto all’intensità il dolore può manifestarsi sotto forma continuativa o irregolare che spesso mostra un andamento ciclico in rapporto alla stagionalità.

Dal punto di vista percettivo esso si può distinguere per essere sordo, pruriginoso, tedioso, ottuso, colico o continuativamente uggioso.

Si tratta di altrettante caratteristiche che vengono vissute in maniera del tutto soggettiva dal paziente e che quindi contribuiscono a discriminare tra un tipo e un altro, contribuendo alla formulazione di una diagnosi accurata.

Tutti gli organismi sono dotati di una fittissima rete di terminazioni nervose finalizzate a trasmettere ai centri cerebrali tutta un’ampia gamma di stimoli nocicettivi.

Nella percezione dolorifica è la corteccia cerebrale a svolgere il principale ruolo discriminante in quanto essa è in grado di filtrare gli stimoli, lasciando passare unicamente quelli che possono rivestire un significato per la conservazione dell’individuo.
L’integrità dell’organismo costituisce infatti la principale causa di selettività.

Un fattore da valutare con estrema attenzione è quello relativo alla non corrispondenza tra entità del dolore e gravità della patologia: vi sono infatti disturbi di scarsa rilevanza clinica che si manifestano con elevatissimo dolore e altri estremamente gravi e privi di sintomi algici.

Un dolore anche intenso, ma che ha una durata breve e che scompare spontaneamente senza lasciare alcuna traccia, nella maggior parte dei casi non ha nessun significato patologico.

Quando invece perdura nel tempo, il dolore (indipendentemente dalla sua intensità) dovrebbe comunque mettere in allarme in quanto indica una condizione di anomalia che non si risolve.

Utilità diagnostica del dolore

Come accennato il dolore svolge un ruolo di primaria importanza a fini diagnostici e pertanto deve essere attentamente considerato dal medico.

I caratteri che vanno presi in considerazione sono i seguenti:

Nella diagnosi di una qualsiasi patologia accompagnata da sintomatologia dolorosa è necessario prendere in esame anche la sua componente psicologica, soprattutto quando il dolore rappresenta il sintomo predominante che tende a mascherare gli altri.

In alcune circostanze esso può prendere il sopravvento fino a paralizzare la psiche del malato che quindi non è più in grado di rapportarsi oggettivamente e con realismo alla sua condizione.

In tali casi è chiaro che la diagnosi risulta molto difficile e che pertanto il medico non può basarsi soltanto sui sintomi riferiti ma deve per forza fare ricorso a indagini strumentali più approfondite e completate da analisi ematochimiche.

L’utilità diagnostica del dolore dipende in massima parte dal tipo e dall’estensione dell’innervazione dell’organo/apparato coinvolto.

La maggior parte degli organi si trova avvolto da membrane (pleure) il cui ruolo è quello di proteggere e sostenere strutture anatomiche molli solitamente contenute in parti ossee.

-Il dolore pleurico dipende essenzialmente dalla struttura delle pleure, membrane formate da un sottile strato di tessuto connettivo lasso che tendono ad aderire agli organi in esse contenuti.

Non essendo dotate di innervazione diffusa esse non sono le dirette responsabili del dolore che invece deriva dalla struttura anatomica degli organi stessi.

A livello diagnostico questa circostanza può rivelarsi fuorviante in quanto i collegamenti si sviluppano in maniera estremamente complessa.

Si può quindi concludere che le stimolazioni algiche contribuiscono in maniera decisiva alla localizzazione dei sintomi di quasi tutte le patologie, a parte i casi in cui siano coinvolte le pleure.

Valutazione del dolore

Il dolore viene definito come un’esperienza sensitiva ed emotiva estremamente spiacevole, di solito associata a un danno reale o potenziale, avvertito dal paziente.

Tenendo conto che la sofferenza di ciascuno è influenzata da molti fattori individuali, si deduce che il dolore sia un evento particolarmente difficile da semplificare e da oggettivizzare.

Nonostante questo si presenta la necessità improrogabile di misurarne l’intensità, allo scopo di impostare un’adeguata terapia antidolorifica che spesso è il necessario corollario delle patologie.

La misurazione del dolore rappresenta la base di partenza per la registrazione di valutazioni confrontabili, che devono essere quindi redatte in base a parametri comuni e oggettivi.

A tale scopo è stata proposta l’adozione di una scala del dolore, finalizzata alla sua valutazione per stabilire un rapporto tra intensità della sensazione algica e validità della terapia.

Nella pratica clinica si utilizzano due tipi di scale del dolore, quelle unidimensionali che misurano unicamente la sua intensità e quelle multidimensionali che valutano anche altri aspetti collegati.

Scale unidimensionali

Si tratta di una metodologia verbale che può trovare impiego anche per via telefonica in caso di assistenza domiciliare del paziente ma che in alcuni casi può non risultare attendibile.

Tramite questo supporto, il paziente deve indicare un punto del segmento corrispondente al suo dolore, il vantaggio è rapportabile all’elevata sensibilità e attendibilità, lo svantaggio è relativo all’impossibilità di venire utilizzata da pazienti disabili (disturbi visivi, fisici o cognitivi) oppure che si trovano in avanzato stadio di malattia.

Pur essendo di pratico impiego e di ottimo utilizzo per via telefonica, non garantisce un’adeguata attendibilità ed è poco sensibile in quanto il numero di intervalli è minore rispetto alla VAS.

Pur essendo molto intuitiva, non garantisce una corretta attendibilità e quindi è scarsamente utilizzata.

Scale multidimensionali

Le scale multidimensionali sono finalizzate a valutare il dolore come esperienza sensoriale complessiva, prendendo in considerazione un maggior numero di aspetti relazionali rispetto alle precedenti.

Dal punto di vista clinico, esse consentono di ottenere una valutazione molto precisa della sintomatologia dolorifica, ma richiedono tempistiche piuttosto lunghe per la compilazione di questionari.

Di solito vengono utilizzati cinque indicatori, che sono:

In base all’analisi comparata di queste variabili, è possibile effettuare una misurazione precisa del dolore, sia nell’immediato che in rapporto alle sue ripercussioni sulla qualità della vita, tenendo conto che per la sua attendibilità il questionario deve essere realizzato da personale medico o infermieristico esperto del settore.

Infatti il maggior rischio delle scale multidimensionali è quello di incorrere in una sottostima o al contrario in una sovrastima del problema, eventi che condizionerebbero drasticamente l’impostazione della terapia.

La scala del dolore in età pediatrica

La valutazione del dolore in età pediatrica risulta estremamente diversa rispetto a quella dell’adulto, e rappresenta una difficile sfida in quanto il bambino è un paziente particolare, con caratteristiche psichiche, relazionali e cognitive spesso imprevedibili.

In ambito clinico vengono proposti numerosi strumenti di misurazione del dolore, rapportabili all’età del soggetto.

Questi strumenti di rilevazione che fanno parte delle scale di valutazione del dolore, comprendono due categorie:

Nei pazienti collaboranti, la scelta d’elezione prevede l’autovalutazione attraverso scale precostituite: in questi casi è il bambino stesso che, in maniera più o meno guidata, è in grado quantificare il proprio dolore e qualora non sia possibile un approccio di questo genere, si preferisce ricorrere a indici comportamentali.

Le scale di autovalutazione possono essere usate per bambini a partire dai tre anni di età e si servono di foto, disegni o immagini di visi stilizzati, che indicano i diversi livelli di dolore.

L’espressione facciale dei bambini con crescente intensità di sofferenza diventa quindi il simbolo a cui il bambino deve fare riferimento per concretizzare la propria sensazione algica.

Se nella fascia di età compresa tra tre e cinque anni le scale di dolore pediatrico utilizzano simboli estremamente stilizzati e poco complessi, nella fascia oltre i sei anni le immagini diventano più complete in quanto il piccolo paziente può interagire in maniera migliore.

Al di sopra degli otto anni di età e per alcuni casi selezionati trovano impiego le scale utilizzate dagli adulti.

In generale gli indicatori presi in considerazione quando non è possibile utilizzare le scale di dolore si riferiscono alla mimica facciale del bambino, ai suoi movimenti corporei (agitazione motoria, rigidità o immobilità corporea, oppure atteggiamenti compulsivi) al livello di irritabilità e nervosismo, all’incidenza del pianto, alla difficoltà di ritornare a uno stato di quiete e soprattutto alle modificazioni di alimentazione e ritmo sonno/veglia.

In condizioni di dolore acuto, è abbastanza facile per l’osservatore (medico o infermiere) rendersi conto del disagio del bambino che di solito piange incessantemente e manifesta evidenti segni di sofferenza.

Nel dolore cronico invece molti aspetti comportamentali risultano sfumati o addirittura assenti, e le uniche manifestazioni sono collegate a limitazioni della reattività motoria e della vita di relazione.

In queste situazioni il terapeuta deve porre attenzione su cinque aspetti, che sono:

Per ciascuno di questi aspetti, la scala prevede un punteggio da zero a dieci, indicante una progressiva intensificazione del dolore.

Un’altra scala utilizzata soprattutto in condizioni di dolore post-operatorio si basa su sei punti di riferimento, che sono:

In tutti questi casi ci si riferisce alla prima infanzia ovvero a soggetti di età superiore ai tre anni.

Tutt’altro tipo di approccio viene riservato ai neonati fino ai dodici mesi di età, dato che in questa fase manca la comunicazione verbale e spesso l’unico mezzo di rapporto è rappresentato dal pianto.

Per i neonati e lattanti, un altro indice di notevole importanza per la valutazione del dolore è rappresentato dalla loro alimentazione, dato che un alto livello di sofferenza impedisce completamente la nutrizione.

Un neonato sofferente, tendenzialmente non si nutre, non dorme, piange incessantemente e mantiene una postura rigida del corpo: in questa situazione non è importante stabilire il livello di sofferenza perché lo stato cognitivo del paziente non ha ancora raggiunto la completa maturità e di conseguenza anche le sue manifestazioni comportamentali sono imprecise e incomplete.

In questi casi si procede con un approccio multidisciplinare, basato su metodi di valutazione empirici legati a comportamenti prettamente distintivi.

Impieghi delle scale del dolore

L’ampia portata del problema del dolore implica l’evidente necessità di utilizzare adeguati mezzi per concretizzare realisticamente questa situazione allo scopo di formulare una diagnosi corretta per poi impostare un piano terapeutico.

Trattandosi di una percezione prevalentemente soggettiva, il dolore deve per forza venire quantificato mediante tabelle comuni che siano in grado di poter essere analizzate e confrontate.

L’impiego delle scale del dolore sia in età pediatrica che in età adulta si pone esattamente questo obiettivo, cioè quello di poter contare su indici numerici.

Il problema della quantificazione della sofferenza dipende dal tipo di percezione (acuta o cronica): nel primo caso gli indici sono solitamente elevati ma la durata è limitata nel tempo, in tale situazione l’obiettivo principale è quello di attenuare il dolore che spesso risulta insopportabile per poi in un secondo tempo formulare una diagnosi.

Nel secondo caso invece la scala del dolore viene sfruttata per un impiego opposto, in quanto partendo dall’indice numerico si procede dapprima ricercando la causa scatenante e soltanto successivamente si imposta una terapia antidolorifica.

Quindi, mentre nel caso del dolore acuto la priorità è quella di eliminarlo il più in fretta possibile, nel caso di quello cronico la priorità è diagnosticare la patologia per poi eliminare la sofferenza.

Questo può avvenire poiché l’intensità dolorifica risulta sopportabile e quindi il paziente può accettare l’idea di affrontare un periodo di attesa prima di eliminare il dolore.

Le competenze auspicate dall’impiego delle scale del dolore devono limitare al minimo la sua componente soggettiva per rendere realistica una percezione che comunque rimane individuale.

Vi sono numerose variabili che incidono sull’interpretazione derivante dalle scale del dolore, tra queste l’identificazione dei pazienti a rischio che possono sviluppare una progressiva intensificazione del dolore e che quindi devono essere trattati tempestivamente.

La discriminante principale nell’utilizzo di questi metodi presuppone un’approfondita conoscenza del problema, poiché di solito la priorità delle terapie, soprattutto in ambito ospedaliero, è quella di risolvere la patologia.

Tale atteggiamento non tiene conto della componente psicoemotiva del dolore, che secondo alcuni medici rappresenta oltre il 50% del quadro morboso.

A questo dato di fatto si somma la ancora troppo scarsa diffusione di queste tabelle, che richiedono un certo tempo per venire compilate.

Bisognerebbe comunque valutare sempre il rapporto rischio/beneficio nei confronti delle problematiche del dolore, tenendo conto che esso è in grado di fuorviare la correttezza diagnostica.

In alcuni ospedali sono stati istituiti specifici reparti per la terapia del dolore il cui ruolo è quello di trattare quasi esclusivamente i pazienti affetti da questo problema, indipendentemente dalla causa scatenante.

È proprio in queste strutture che la scala del dolore trova maggiore impiego, anche per la maggiore preparazione del personale medico e infermieristico, che generalmente segue corsi di formazione a tale scopo.

Dalla collaborazione tra reparti di questo genere e normali reparti di ricovero è quindi possibile impostare le terapie più adeguate sia per risolvere il problema della sofferenza che per contribuire alla guarigione dei pazienti.