Virus HBV

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Il virus HBV (Hepatitis B Virus) è l’agente patogeno responsabile dell’epatite B, una malattia estremamente contagiosa e trasmissibile attraverso il sangue oppure altri fluidi corporei, come saliva, secreto vaginale e liquido spermatico.

Esso può rimanere in vita al di fuori dell’organismo per oltre sette giorni, anche nel sangue secco, e viene trasmesso con notevole facilità anche tramite l’uso di strumenti non igienizzati.

La diffusione di questa malattia avviene attraverso l’uso promiscuo di spazzolini da denti, rasoi, rapporti sessuali non protetti e siringhe contaminate con plasma infetto.

Il virus può venire diffuso anche da portatori sani, ovvero da persone asintomatiche che non sanno di essere infette e che quindi si rapportano con gli altri senza adottare nessuna precauzione.

Come succede per la maggior parte dei virus, anche l’HBV si diffonde con notevole virulenza nelle persone immunodepresse che non sono in grado di contrastare la sua moltiplicazione all’interno dell’organismo.

I virus sono microrganismi infettanti dotati di un’elevata capacità di riprodursi nelle cellule ospiti e contro i quali non esiste una terapia specifica dato che i farmaci antivirali sono medicinali che svolgono unicamente il compito di potenziare il sistema immunitario.

Epatite B e virus HBV

Causata dal virus HBV, considerato uno dei più potenti agenti infettanti per l’uomo, l’epatite B consiste in una progressiva degenerazione del tessuto epatico derivante da un processo infiammatorio che può rimanere asintomatico anche per lungo tempo.

Oltre a una sua gravità intrinseca, questa malattia ha anche una notevole importanza patologica in quanto può evolvere in neoplasia al fegato oppure in cirrosi e insufficienza epatica, disturbi di estrema gravità e spesso incompatibili con la vita.

Quando l’epatite B colpisce un adulto che non abbia altre problematiche di salute, di solito mostra un’evoluzione benigna e tende a risolversi in un lasso di tempo variabile.

Se invece essa interessa soggetti immunodepressi oppure bambini (e ancor peggio lattanti), le possibilità di guarigione sono molto più scarse e sussistono molte probabilità di un progressivo deterioramento generalizzato della salute del paziente.

Altri individui a rischio sono coloro che hanno rapporti sessuali non protetti con partner occasionali, i tossicodipendenti che sono soliti scambiarsi le siringhe e gli operatori sanitari (soprattutto medici e infermieri) che possono venire a contatto con liquidi biologici e sangue infetto.

Bisogna ricordare che il fegato svolge un ruolo di estrema rilevanza per l’organismo e che quindi una sua inadeguata funzionalità si riflette sull’intera omeostasi metabolica del soggetto.

L’epatite B può manifestarsi in forma:
– acuta;
– fulminante;
– cronica.

– Nel primo caso essa mostra un decorso di norma inferiore a sei mesi e, se curata correttamente, non lascia conseguenze di alcun genere dato che il fegato non riporta danni permanenti ma soltanto temporanei.

– Nel secondo caso invece la malattia è caratterizzata da un’evoluzione particolarmente fulminea che porta a un’insufficienza epatica acuta nel giro di pochi giorni, con l’insorgenza di una forma atrofica dell’organo che perde progressivamente le sue funzioni fisiologiche.

Si tratta di una patologia di estrema gravità che nella maggior parte dei casi porta al decesso del paziente in brevissimo tempo in quanto possono insorgere emorragie interne, encefalopatia, coma e morte.

– L’epatite cronica dipende dalla condizione secondo cui il virus HBV non viene del tutto eliminato da parte del sistema immunitario e quindi si insedia a livello degli epatociti, dando origine a un processo irreversibile di degenerazione citologica responsabile della cirrosi epatica.


Il periodo d’incubazione della malattia è piuttosto lungo ed è compreso tra 45 e 180 giorni a partire dal momento in cui il soggetto è venuto a contatto con il virus; all’esordio essa si presenta con nausea, episodi febbrili, dolori addominali e malessere generalizzato a cui fa seguito la comparsa di ittero, causato dall’accumulo di bilirubina nel sangue.

Esami diagnostici per l’epatite B

n caso di sospetto diagnostico di epatite B sono necessarie alcune indagini sia di tipo sierologico che clinico.

Dal momento che la maggior parte dei pazienti non presenta una sintomatologia caratteristica, ma soltanto segnali piuttosto generici e comuni a numerose altre malattie, la diagnosi di epatite B si affida praticamente soltanto ad esami del sangue.

Le analisi richieste in caso di sospetta epatite B prevedono innanzitutto un test ematico completo, comprendente:
– ematocrito;
– conteggio delle piastrine;
– formula leucocitaria;
– pannello epatico, comprendente il dosaggio di ALT, AST e GGT.

Ad essi viene aggiunta al ricerca del virus HBV che si effettua attraverso il dosaggio degli anticorpi anti-e dell’epatite B, un’indagine molto specifica e mirata precisamente all’agente infettante.

Questo test trova largo impiego sia per diagnosticare una patologia in atto sia anche per rilevare esposizioni pregresse al virus HBV, dato che nel sangue rimane una memoria immunitaria di tutti gli antigeni incontrati.

Di solito esso viene prescritto per:
– pazienti a rischio d’infezione da HBV;
– soggetti che presentano sintomi compatibili con epatite B;
– pazienti con inspiegabile aumento dell’enzima epatico ALT;
– persone sotto trattamento con farmaci anti-epatite;
– soggetti sui quali sia necessario testare lo stato del sistema immunitario;
– monitoraggio di epatiti croniche;
– distinzione con altre forme di epatite (A oppure C).

L’esame si compie su un campione di sangue venoso prelevato dalla vena del braccio di un soggetto a digiuno da almeno 8 ore.

Questo test può essere finalizzato al rilevamento degli anticorpi anti-HBV, di antigeni prodotti dal virus o anche del DNA virale; trattandosi di un virus è infatti preferibile identificare il maggior numero possibile di risposte laboratoristiche poiché il suo comportamento morfo-funzionale appare piuttosto indefinito.

Di norma viene raccomandato di ripetere il test a intervalli regolari, soprattutto su soggetti a rischio di contrarre l’epatite B oppure su pazienti reduci dalla malattia e che rientrano nei necessari follow-up periodici.

Nel monitoraggio, che dapprima prevede analisi semestrali e poi annuali, gli esami sono richiesti fino al completo azzeramento degli anticorpi anti HBV.

L’esame, che non è assolutamente invasivo e prevede soltanto un prelievo di sangue venoso, fornisce dati particolarmente utili per diagnosticare l’epatite B che è spesso asintomatica, almeno nelle prime fasi.

Un approfondimento di questa analisi è rappresentato dal test di genotipizzazione dell’HBV che viene eseguito nei casi in cui sia necessario determinare con precisione lo specifico ceppo del virus.

In base alla storia clinica del paziente è sempre il medico a decidere quali indagini devono essere eseguite, soprattutto in assenza di sintomi.

Interpretazione dei dati di laboratorio

Le indicazioni che portano alla richiesta del dosaggio di anticorpi anti HBV derivano dal riscontro di un aumento aspecifico delle transaminasi evidenziato durante controlli di routine.

Le transaminasi costituiscono quella porzione di enzimi epatici la cui sintesi risulta incentivata tutte le volte in cui gli epatociti hanno subito un qualsiasi danno.

Dato che nella stragrande maggioranza dei casi questi danni dipendono da infezioni virali, soprattutto a carico del HBV, è evidente che la ricerca di HBV rappresenta l’esame più attendibile e indicativo per arrivare a una diagnosi certa.

Una volta appurato che l’infezione è stata causata da questo virus, di norma si procede ricercando gli specifici marcatori della malattia, che sono in grado di discriminare tra un danno epatico recente oppure pregresso e cronicizzato.

Nell’interpretazione dei risultati, un’ulteriore indagine da eseguire è quella del HBV-DNA, un test molto preciso e sofisticato che consente di quantificare il processo di replicazione del virus.

Nel caso in cui il paziente risulti positivo a questi esami sierologici è sempre meglio procedere con l’effettuazione di un’ecografia epatica, il cui ruolo è quello di visualizzare la morfologia del fegato.

Si tratta di un’indagine clinica non invasiva in grado di fornire risultati estremamente attendibili, che completano efficacemente il quadro diagnostico.

Anche se non esistono alterazioni ecografiche specifiche per l’epatite B, ricollegabili alla presenza del virus HBV nel sangue, è comunque vero che le immagini dell’organo permettono di rendersi conto se alcune sue parti si presentano mal funzionanti.

In casi di reale sospetto di epatite B complicata, con probabile evoluzione in cirrosi epatica, di norma viene eseguita anche una biopsia del tessuto epatico che prevede l’analisi citologica di vari prelievi di tessuto.

Con l’indagine Ab Ig totali viene ricercata nel sangue la presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite B, e nello specifico contro una sua parte nota come “core”.

Con tali indagini si ricercano sia le IgG che, in base alla loro comparsa tardiva, indicano una cronicizzazione dell’infezione, sia le IgM che si positivizzano invece nel corso delle forme attive.

Per discriminare la viremia quantitativa e qualitativa dell’epatite B, ci si può riferire ai seguenti valori di riferimento:
– anti HBS negativo, oppure con livello superiore a 10-12 mU/ml, viene considerato protettivo;
– immunoglobuline IgM contro l’antigene core anti HBC negativo;
– immuoglobuline IgG anti HBC negativo;
– Hb Ag negativo;
– antigene E (HBE Ag) negativo;
– anticorpo E (anti HBE) negativo;
– HBV DNA negativo.

Qualsiasi alterazione da questi valori di riferimento viene considerata indicativa per un quesito diagnostico sull’epatite B.

L’antigene di superficie (HBS Ag) consiste in una proteina presente sulla superficie del virus, rilevabile sia in caso di patologia acuta che cronica e che è uno dei primi indicatori in grado di identificare la presenza del virus anche prima della comparsa dei sintomi.

L’anticorpo anti antigene di superficie (anti HBS) è rilevabile invece durante la fase di guarigione e viene impiegato a tale scopo.

Gli anticorpi contro l’antigene core (IgM anti HBC) sono i primi ad essere prodotti dopo l’infezione e quindi rivelano la malattia nelle sue fasi iniziali.

L’antigene E (anti HBE Ag) è una proteina rilevabile nel sangue durante la replicazione del virus dell’epatite B, quindi di elevata specificità. Questo dosaggio viene utilizzato per quantificare la capacità di contagio del paziente e il grado di infettività della patologia.

Il DNA del virus (HBV DNA) viene analizzato per monitorare le terapie antivirali in caso di cronicizzazione della patologia.

Dosaggio del virus HBV nell’epatite B

L’epatite B viene diagnosticata quasi esclusivamente attraverso la ricerca dei marcatori d’infezione, di replicazione e anche d’immunità, il cui ruolo risulta fondamentale per la scoperta della malattia che rimane asintomatica per lungo tempo.

Tra questi marcatori, l’HBV è quello maggiormente utilizzato per la sua elevata attendibilità e per la relativa facilità con cui viene rilevato nel sangue.

E’ possibile determinare la sua presenza da 1 a 10 settimane dopo l’insorgenza della sintomatologia e, dopo la guarigione, esso si negativizza al massimo entro 6 mesi.

Qualora l’HBV rimanga in circolo oltre questo limite significa quindi che l’epatite si è evoluta in forma cronica e che quindi esso è destinato a non scomparire.

In condizioni normali di pazienti sani l’HBV non deve essere presente e il suo valore è quindi pari a zero; una qualsiasi incentivazione anche se minima deve sempre mettere in guardia il medico che può formulare un quesito diagnostico relativo all’epatite B.

Trattandosi di una malattia che spesso comporta conseguenze di notevole importanza è opportuno effettuare il dosaggio del virus HBV non appena si presenti anche il minimo sospetto di epatite B.

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