Significato clinico delle coproporfirine

Le coproporfirine rappresentano un prodotto intermedio delle sintesi dell’eme, un gruppo funzionale facente parte dell’emoglobina presente all’interno degli eritrociti (globuli rossi).
Un aumento della concentrazione di questi composti nell’urina indica la presenza di deficit enzimatici che possono essere congeniti oppure acquisiti in seguito a disturbi di varia natura e in particolare alla porfiria ematica.
Anche l’esposizione al piombo, responsabile della malattia professionale, e responsabile di un maggiore assorbimento del metallo, provoca una maggiore sintesi enzimatica.
Si tratta di un gruppo di composti definiti sottoprodotti della sintesi dell’eme, normalmente presenti in tracce nei fluidi corporei e soprattutto nel sangue.
Un incremento della loro concentrazione, che viene misurata nelle urine, nelle feci e nel sangue, è sempre un valore da non sottovalutare in quanto indica la presenza di un dismetabolismo generalmente a livello ematico.
Il gruppo eme, presente in numerose proteine tra cui appunto l’emoglobina, ha un ruolo importantissimo per l’organismo poiché, legandosi al ferro, è in grado di trasportarlo in tutti i tessuti attraverso il torrente circolatorio.
Esso è formato da una protoporfirina che costituisce la sua parte organica responsabile del legame ( e quindi del trasferimento) del ferro.
La biosintesi dell’eme prevede un complesso insieme di reazioni, a cui partecipano sequenze di 8 differenti enzimi; in tutti i casi in cui anche uno soltanto di questi cofattori risulta carente si verifica un blocco del processo con conseguente accumulo di precursori nel sangue.
Tali precursori, facenti parte delle porfirine, sono:
– uroporfirine;
– protoporfirine;
– coproporfirine.
Il significato biologico delle porfirine è quindi molto ampio dato che sono strettamente correlate al metabolismo degli eritrociti e quindi all’ossigenazione dei tessuti.
Nella situazioni in cui tale processo si presenta deficitario, l’intero organismo ne risente in maniera particolarmente incisiva perché tutte le reazioni biochimiche vengono modificate.
L’omeostasi dei fluidi corporei prevede un fisiologico trasporto di ossigeno nelle varie parti del corpo che, qualora non vengano ossigenate, possono perdere la propria funzionalità.
Il tipo di precursori che possono accumularsi nel sangue dipende dal sistema enzimatico carente oppure non funzionante, che, a seconda dei casi, può innescare reazioni a catena di notevole gravità.
Tenendo conto che questi precursori possono mostrare una notevole tossicità, un aumento della loro concentrazione è responsabile di malattie metaboliche piuttosto importanti.
Proprio per tale ragione è necessario che essi non si accumulino nell’organismo, per evitare intossicazioni che molto spesso presentano conseguenze imprevedibili, ma comunque collegate alla loro concentrazione.
Esistono 6 tipi di porfirie, ognuna collegata alla carenza di un differente cofattore enzimatico; nella maggioranza dei casi esse dipendono da una mutazione genetica di tipo autosomico dominante che viene ereditata.
Si tratta di un’anomalia strutturale di un solo gene (l’altro infatti è normale), che provoca danni neurologici, dermatologici oppure di entrambi i tipi, classificabili in base alla differente sintomatologia.
Che cosa si intende per porfiria
Il gruppo eme è presente non soltanto nell’emoglobina, ma anche nella mioglobina e nei citocromi, pertanto, nei casi di deficit enzimatici, i precursori tossici possono accumularsi in varie parti della cellula.
Nonostante si tratti di una malattia quasi sempre congenita, la sua sintomatologia insorge in età adulta e soltanto raramente durante l’infanzia; questo fatto complica notevolmente sia la diagnosi che il protocollo terapeutico.
Secondo numerose ricerche scientifiche infatti la gravità delle manifestazioni è direttamente proporzionale al ritardo con cui esse vengono scoperte.
I sintomi clinici più incisivi sono di due tipi:
– alterazioni neuro-viscerali
tipiche delle porfirie acute;
– dermatologiche
tipiche delle porfirie cutanee.
In quest’ultimo caso, un fattore discriminante di notevole valore diagnostico è costituito dalla fotosensibilità, in grado di orientare in maniera decisiva il quesito clinico.
Le porfirie sono catalogate in due gruppi:
– acute;
– cutanee.
– Le porfirie acute si caratterizzano per un interessamento a carico del sistema nervoso (neurologiche) oppure addominale (viscerali).
I sintomi più caratterizzanti di quell acute non sono evidenti nelle prime fasi della malattia e quindi possono diventare fuorvianti per il medico che, quasi sempre, deve avvalersi del supporto delle analisi di laboratorio.
In questi casi si possono osservare:
– dolori addominali
di tipo crampiforme, con andamento ciclico oppure intermittente, ma di solito accompagnati da episodi febbrili;
– astenia generalizzata
evidente soprattutto nelle prime ore del mattino, dopo il risveglio, e rapportabile alla comuni attività quotidiane;
– leucocitosi
l’aumento dei globuli bianchi nel sangue è un reperto leggermente più tardivo rispetto agli altri sintomi e non è di grande aiuto nel quadro diagnostico in quanto si tratta di un segno collegabile e moltissimi disturbi di altro genere (un incremento dei leucociti si verifica in qualsiasi processo infiammatorio e pertanto non viene ritenuto specifico);
– tachicardia e ipertensione
generalmente con andamento episodico e conseguenti a sforzi muscolari anche di minima intensità, in particolare se collegati ad attività aerobia;
– disturbi digestivi
comprendenti nausea, vomito e modificazioni dell’alvo intestinale, caratterizzati da un’anomala alternanza di stitichezza e diarrea, spesso insensibili ai tradizionali supporti terapeutici a base di probiotici e fermenti lattici;
– parestesie
l’insorgenza di formicolio e neuropatie motorie, più o meno accompagnate da debolezza muscolare, viene ritenuta un segno clinico di maggiore importanza e soprattutto più caratterizzante rispetto a quelli precedenti.
Le crisi, di solito intermittenti, si sviluppano nell’arco di poche ore con un andamento ingravescente, per raggiungere un picco dopo il quale tendono ad attenuarsi gradualmente per poi ricomparire senza cause apparenti;
– convulsioni
piuttosto rare, queste manifestazioni sono riconducibili all’interessamento delle sinapsi nervose che, in caso di porfiria, subiscono un deterioramento funzionale provocato dall’accumulo dei composti tossici nel sangue.
– Le porfirie cutanee si presentano con una sintomatologia unicamente dermatologica e conseguente a fenomeni di fotosensibilità a livello del volto, delle mani e di tutte le parti scoperte e quindi sottoposte alle radiazioni luminose.
Anche in caso di traumi, le conseguenze di questo disturbo diventano evidenti e rappresentano un importante segnale che può aiutare nella diagnosi.
Le porfirie cutanee si aggravano nei forti bevitori in quanto l’etanolo in circolo contribuisce a potenziare la sintomatologia, soprattutto per soggetti sottoposti a terapie estrogeniche.
L’epatite C è provocata da un agente virale che peggiora la sintomatologia cutanea delle porfirie e contribuendo a innescare una sovrapposizione eziologica che può essere fuorviante.
In tutti questi casi la malattia provoca un incremento di produzione di porfirine fototossiche negli epatociti, che quindi risultano intossicati con conseguente alterazione della funzionalità epatica.
Dato che il fegato è l’organo maggiormente coinvolto nei processi di disintossicazione dell’organismo, ne consegue un peggioramento della sintomatologia che si traduce in un progressivo incremento dei composti.
A livello cutaneo i composti tendono a concentrarsi durante l’esposizione alla luce solare, producendo radicali citotossici responsabili delle manifestazioni dermatologiche.
Le manifestazioni maggiormente evidenti comprendono la formazione di vescicole di piccole dimensioni, di eruzioni bollose con tendenza a rottura della superficie epidermica e fuoriuscita di siero e di un’estesa fragilità della pelle che tende a ulcerarsi anche in seguito a stimolazioni di poco conto.
Un’anomala colorazione delle urine, che virano al rosso-brunastro, può comparire soltanto nelle fasi sintomatiche della patologia e comunque non viene considerato un segnale indicativo poiché è comune a numerosi altri disturbi organici.
Questo segno è provocato dal processo di ossidazione delle porfirine accumulate nel sangue.
Dosaggio delle coproporfirine urinarie
Il dosaggio delle coproporfirine urinarie viene effettuato su un campione di urine delle 24 ore, e solitamente si associa a quello ematico e delle feci.
Il test, che non fa parte delle analisi di routine, viene prescritto in caso di sospetto diagnostico di porfiria acuta oppure cutanea, in presenza di sintomi quali formicolio ai piedi o alle mani, dolori addominali, comparsa di vescicole e screpolature cutanee.
Il campione delle urine può essere anche estemporaneo e non prevede digiuno del paziente e neppure la raccolta di liquido minzionale al mattino, ma deve essere assolutamente protetto dalla luce che può alterare in maniera decisiva i risultati.
In presenza di una sintomatologia conclamata è sempre consigliabile ripetere l’esame delle urine più volte, preferibilmente a distanza di 24 ore, per avere la possibilità di confrontare i dosaggi.
La coproporfirina urinaria viene richiesta in caso di quesiti diagnostici per la valutazione di pazienti con iperpigmentazione, vescicole e cicatrici localizzate nelle zone esposte al sole.
Se i risultati del test sono negativi è molto improbabile che il paziente sia affetto da porfiria e quindi di solito non vengono richieste ulteriori analisi.
Se invece gli esami di primo livello sono positivi è necessario effettuare successive prove di conferma che devono seguire una determinata sequenzialità stabilita dal medico in rapporto alla sintomatologia presente.
Questi composti sono aumentati in caso di porfiria intermittente acuta, di porfiria cutanea ritardata e di porfiria eritropoietica congenita.
Di norma l’analisi è associata ad altri test enzimatici dato che presi isolatamene i dati ottenuti non hanno valore diagnostico chiaro.
La porfiria è una patologia che finché rimane quiescente non ha conseguenze significative sulla salute del paziente, ma che deve essere diagnosticata il prima possibile per evitare che evolva nella fase acuta.
Trattandosi di esami molto sofisticati, essi vengono eseguiti presso laboratori specializzati oppure in ambito ospedaliero, soprattutto per avere la certezza di ottenere esiti attendibili.
Il test urinario può essere di due tipi: su campione estemporaneo (utilizzato come approccio iniziale) e su campione delle 24 ore (impiegato come conferma diagnostica); mentre nel primo caso si parla di indagine di screening, nel secondo ci si riferisce a un preciso quesito diagnostico.
I laboratori d’analisi che desiderano archiviare i dati del vademecum informativo per i pazienti, aggiornandoli in tempo reale e seguendo le normative UNI EN ISO 15189 possono provare Vademecum, il sistema che offre gratuitamente un programma gestionale dal web, consultabile nella nostra home-page .