Coronavirus e Covid-19

Il Covid-19, com’é noto, è una patologia virale, provocata da un germe altamente infettante: il coronavirus.

I virus sono parassiti intracellulari obbligati, in quanto la loro sopravvivenza dipende unicamente dalla possibilità di aggregarsi a una cellula ospite, come appunto quella umana.

Si tratta delle entità biologiche che sono in assoluto le più diffuse sulla terra, e che pertanto rappresentano un enorme pericolo per l’umanità.

D’altra parte bisogna considerare il fatto che i virus non sono autonomi per nessuna funzione, e che, essendo sprovvisti di nucleo, sono dotati soltanto di una parte di informazioni genetiche indispensabili per la loro replicazione.

Gli acidi nucleici (DNA e RNA) in essi contenuti sono infatti in grado di codificare le sole proteine strutturali, che formano il loro rivestimento.
Per tutte le altre funzioni, sono obbligati a sfruttare la cellula infettata.

Questi microrganismi hanno una struttura estremamente semplice, dato che sono costituiti da una capsula esterna (capside) e da una porzione di materiale genetico interno.

Si tratta di forme viventi imperfette, prive di autonomia e del tutto dipendenti dalle cellule ospiti, ma tuttavia estremamente infettanti e capaci di riprodursi con ritmi esponenziali, fino a provocare vere e proprie pandemie (come appunto quella di Covid-19).

Il loro punto di forza è senza dubbio quello di potersi adattare alla perfezione alla cellula infettata, dalla quale traggono tutti gli elementi indispensabili per vivere.

Un’altra loro proprietà è la mutazione: infatti tutte le volte in cui le condizioni biologiche diventano sfavorevoli per la loro sopravvivenza, si trasformano in forme diverse e quindi meglio adattabili al contesto.

Pertanto risulta molto difficile ucciderli, poiché qualsiasi terapia (farmacologica oppure vaccinale), che risulta efficace per una determinata forma, non lo è per un’altra mutata.

Alcuni ricercatori considerano questi germi come una forma ibrida tra quelle viventi e non viventi, proprio perché le loro possibilità di sopravvivenza autonoma sono nulle.

In natura sono presenti oltre 100 milioni di tipologie di virus, che hanno la capacità di infettare qualsiasi cellula vivente (animale, vegetale, fungina e batterica); pertanto la loro diffusione è veramente ubiquitaria.

Inoltre la loro capacità infettante è altissima, così come elevatissima è la probabilità che una cellula vivente entri in contatto con loro.

In base a tutti questi dati è facile capire perché il coronavirus abbia potuto diffondersi con tanta facilità e rapidità, provocando una disastrosa pandemia.

Il coronavirus, che è un virus a RNA, in quanto il materiale genetico in esso contenuto è formato appunto da questo acido nucleico, di norma infetta le cellule degli animali, provocando zoonosi.

Al microscopio elettronico, la sua struttura appare costituita da un capside rivestito da numerosi peduncoli, che ricordano una corona regale.

La sua identificazione risale al 1960, quando un gruppo di ricercatori lo isolarono in cellule di pazienti affetti da sindromi influenzali.

Nel 2002, il virus fece la sua ricomparsa in Cina, dando origine a un’epidemia di SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave), a cui fece seguito un’altra epidemia respiratoria (MERS), questa volta in Arabia Saudita nel 2012.

Agli inizi del 2019, infine, il coronavirus ha incominciato a diffondersi dalla Cina in tutto il mondo, dando origine alla pandemia di Covid-19.

Test per identificare il Covid-19

I test di laboratorio rappresentano un valido supporto per contrastare la diffusione del coronavirus, dato che la sua contagiosità è elevatissima e quindi diventa fondamentale identificare le persona infette, per poi isolarle.

La strategia delle “3 T”, che indica “Test Tracing and Treat” è stata messa a punto proprio per riconoscere tempestivamente i soggetti infettati.

1. Test molecolare

All’inizio della pandemia, l’unico mezzo a disposizione era quello del tampone, che si basa sulla ricerca di frammenti del materiale genetico virale a livello delle cavità nasali.

In questo caso si fa riferimento a test molecolari, dato che si evidenziano parti costitutive del germe, consistenti appunto in materiale biologico isolato a livello delle cellule ospiti.

Se gli elementi citologici prelevati dalle cavità nasali del paziente contengono questi frammenti di acidi nucleici (non appartenenti al patrimonio genetico dell’ospite), viene confermata la positività.

Anche se caratterizzato da un elevato indice di sicurezza, il tampone ha un grande limite: la lentezza dei tempi di esecuzione.

Il tampone naso-faringeo è utile soprattutto per i pazienti asintomatici che, pur non presentando segnali della malattia, sono comunque vettori di propagazione del virus.

Il test sfrutta le prestazioni offerte dalla biologia molecolare, in grado di identificare anche minime tracce di acido ribonucleico del coronavirus, basandosi sulla metodica dell’amplificazione (PCR).

PCR (Polymerase Chain Reaction), consistente in una reazione a catena delle polimerasi, è una raffinata tecnica di laboratorio che permette di clonare in provetta anche minimi frammenti di acidi nucleici.

Il metodo prende il nome di “reazione a catena” poiché sono necessari da 20 a 30 cicli ripetitivi per amplificare il segnale biochimico che permette di isolare il materiale biologico ricercato.

Il grande vantaggio di questo test è quello di poter identificare la presenza del patogeno, anche a bassa carica virale, su soggetti asintomatici, pre-sintomatici oppure sintomatici.

Lo svantaggio, come accennato, è invece quello della lentezza di esecuzione, dato che sono richiesti tempi di attesa piuttosto lunghi per consentire il completamento della reazione a catena.

Il test molecolare, pur con i suoi limiti, viene considerato il test d’elezione nei seguenti casi:
• casi sospetti;
• individui soggetti a quarantena;
• individui a stretto contatto con pazienti sintomatici;
• individui a contatto con soggetti fragili (ammalati cronici, affetti da pluri-patologie, anziani, immunodepressi, pazienti oncologici o con altre gravi malattie);
• individui asintomatici che devono affrontare un ricovero ospedaliero;
• individui asintomatici che si apprestano a partire per viaggi;
• individui asintomatici che rientrano da viaggi;
• screening periodici per operatori sanitari;
• screening periodici su personale operativo in contesti a rischio elevato;
• conferma di guarigione.

In simili situazioni è quindi preferibile optare per il test molecolare che, anche se richiede più tempo rispetto a quelli sierologici, garantisce un’elevata attendibilità.
In alcuni casi è dunque inevitabile effettuare il tampone.

Il materiale biologico da analizzare viene prelevato da muco e secrezioni localizzate a livello delle prime vie respiratorie, introducendo il materiale d’analisi nelle narici oppure in faringe.

Dopo aver introdotto un bastoncino sterile nelle narici, fino a raggiungere la zona rino-faringea, viene effettuata una delicata rotazione che consente di asportare un certo quantitativo di cellule.

Questo reperto biologico viene poi analizzato al microscopio elettronico dopo essere stato sottoposto alla sopra citata reazione a catena delle polimerasi.

Per avere una risposta è necessario attendere da 24 a 48 ore, un lasso di tempo che dipende essenzialmente dalle metodiche di laboratorio.
Il risultato può essere positivo o negativo; nel primo caso significa che l’infezione è in atto, nel secondo caso che non c’é infezione.

Esistono varie possibilità:
• tampone subito negativo,
il soggetto non è ammalato;
• tampone subito positivo,
il soggetto è affetto da infezione in atto;
• tampone negativo dopo positivo,
il soggetto, che è stato ammalato, non è più contagioso,
oppure può concludere l’isolamento.

Esiste anche una valida alternativa a queste analisi che, come accennato, non sono veloci: si tratta dei test molecolari rapidi, che si effettuano su prelievi di liquido salivare.

Infatti i virus possono colonizzare anche il cavo orale, distribuendosi nella saliva, dove quindi è possibile riscontrare la loro esistenza.

La tecnica prevede tempi di esecuzione molto più veloci rispetto ai tradizionali tamponi, ma la loro affidabilità è inferiore.

Questa metodica richiede soltanto 15 minuti, dato che non ricerca il genoma virale, ma soltanto le proteine di superficie.

Ecco perché la sua esecuzione può essere una scelta obbligata quando la necessità principale è la rapidità, ma non l’estrema precisione.

Il suo limite principale è quello dei così detti “falsi negativi”, secondo cui si evidenzia una carica virale bassa che però potrebbe dipendere dalla modalità d’esecuzione e non dalla reale assenza del germe.

2. Test sierologici

A differenza di quelli molecolari, che ricercano parti di materiale biologico del virus, quelli sierologici vanno a identificare la presenza di anticorpi diretti contro il coronavirus.

Con questa analisi, da effettuare su un campione di sangue, si cercano le IgM e le IgG, tenendo conto che le prime (IgM) sono prodotte dopo che il soggetto è entrato in contatto con il virus, mentre le seconde (IgG) indicano una memoria anticorpale, che conferma un contatto col virus avvenuto anche molto tempo prima.

Mentre i test molecolari si riferiscono a una situazione riscontrabile in tempo reale, quelli sierologici forniscono informazioni globali sul contatto col germe.

Il loro impiego è utile per monitorare la diffusione del coronavirus, ma non le condizioni dei contagi in atto in un determinato momento.
Si tratta di analisi economiche e rapide, ma non sempre consigliabili.

Queste indagini non hanno dunque finalità diagnostiche e non possono sostituire quelle molecolari.

Com’é noto, gli anticorpi sono molecole che l’organismo produce per combattere la presenza di materiale estraneo, chiamato antigene.
Si tratta di risposte derivanti dai linfociti B che, in seguito a un’infezione, cercano di neutralizzare il patogeno, legandosi ad esso.

In presenza di Covid-19, le IgG (risposta anticorpale specifica) sono riscontrabili a partire dalla fine della seconda settimana dalla comparsa dei sintomi.

Le IgM sono immunoglobuline che vengono prodotte per prime, subito dopo il contatto col virus, ma sono aspecifiche in quanto fanno parte della risposta immunitaria di pronto intervento.

Responsabili di una significativa azione anti-virale che inizia dal terzo-quinto giorno dopo l’infezione, le IgM tendono progressivamente a calare per lasciare spazio alle IgG.

Le IgG, invece, non sono sintetizzate tempestivamente (la loro produzione ha inizia a partire dalla terza settimana di malattia), ma rimangono nel tempo, contribuendo a creare la memoria immunitaria.

Di conseguenza, tutte le volte che il soggetto viene a contatto con il medesimo antigene, queste immunoglobuline sono in grado di attivarsi per contrastarlo.

Secondo le più recenti linee guida, il coronavirus è in grado di stimolare la sintesi anche di IgA, immunoglobuline secretorie localizzate quasi esclusivamente nelle vie aeree, dove agiscono come prima barriera contro il germe.

Tali molecole sono state isolate nella saliva e nelle secrezioni bronchiali.

I test sierologici si distinguono in due tipi:
• rapidi (qualitativi);
• lenti (quantitativi).

Mentre i primi, che prevedono tempistiche d’esecuzione estremamente contenute, stabiliscono la presenza o l’assenza di anticorpi, i secondi sono in grado di identificare le classi di immunoglobuline prodotte in seguito al contatto col microrganismo infettante, misurandone anche la concentrazione con assoluta precisione.

• Test sierologici qualitativi

Queste prove vengono effettuate su poche gocce di sangue, prelevato dal dito (microcircolo capillare superficiale) con un semplice pungi-dito; il risultato è disponibile dopo pochi minuti e conferma soltanto la presenza o l’assenza del virus, tramite l’analisi degli anticorpi da esso prodotti.

• Test sierologici quantitativi

Analisi del genere sono finalizzate a dosare in maniera molto specifica e sensibile la concentrazione di anticorpi circolanti nel sangue: è sufficiente avere a disposizione un campione di sangue venoso per procedere all’analisi.

Le tecniche impiegate sono essenzialmente due: CLIA (chemio-luminescenza) oppure ELISA (immuno-enzimatici).
In entrambi i casi sono necessarie almeno due ore per avere gli esiti.

Una positività delle IgM indica con buona probabilità che il virus è presente nell’organismo del soggetto, e quindi presuppone l’esecuzione del test molecolare.

La validità dei test sierologici è collegata a due aspetti:
• stabilire se la persona è entrata in contatto col patogeno;
• evidenziare la presenza di anticorpi.

Il loro impiego è rivolto principalmente alla raccolta di informazioni di tipo epidemiologico, evidenziando la propagazione del coronavirus e la sua velocità di contagio, ponendo l’attenzione sulle categorie maggiormente a rischio, soprattutto nel settore della sanità pubblica.

I test sierologici non possono ovviamente fare parte di programmi di screening, ma soltanto di monitoraggio, anche perché queste analisi sono soggette al fenomeno della “cross reattività”, secondo cui gli anticorpi riscontrati potrebbero non essere specifici per il Covid-19.

Le risposte ai test sierologici possono essere:

• risultato positivo,
sono presenti anticorpi, ma non c’é nessuna garanzia di una protezione immunitaria del paziente e neppure della sua effettiva guarigione; pertanto è sempre necessario completare l’indagine con l’esecuzione del test molecolare.
Se il tampone risulta negativo, significa che il paziente non è più contagioso oppure che è venuto a contatto con il virus ma lo ha già eliminato e quindi non corre il rischio di trasmetterlo o infine può concludere l’isolamento.
Se il test molecolare è positivo significa che la malattia è ancora in atto e quindi il paziente deve rimanere ancora il quarantena fino all’esito negativo di due tamponi effettuati a 24 ore di distanza l’uno dall’altro;

• risultato negativo,
significa che non sono riscontrabili anticorpi nel sangue del soggetto e questo può indicare varie opzioni e cioè che l’individuo non è stato infettato da Coronavirus oppure è stato infettato ma non ha ancora sviluppato la risposta anticorpale, o infine ha prodotto anticorpi ma in quantitativo inferiore al livello minimo di rilevazione (cot-off del test). Pertanto può essere ancora contagioso. Bisogna quindi tenere presente che un esito negativo di questo test non esclude l’ipotesi di un’infezione in atto, che può essere in fase asintomatica o precoce, ma comunque rischiosa per il contagio.

Recentemente è disponibile anche un test sierologico rapido che viene effettuato soltanto in alcune regioni di’Italia e che può essere eseguito negli ospedali o in farmacia.

• Test sierologico rapido

Il test sierologico rapido permette di identificare la presenza di anticorpi contro il Coronavirus analizzando un prelievo di sangue superficiale tramite l’impiego del pungi-dito.

Il risultato, che è disponibile dopo 15 minuti, si basa su prove immuno-cromatografiche, che consentono di scoprire la presenza di IgG o IgM.

In ogni caso si tratta di un test quantitativo che rivela soltanto la presenza o meno degli anticorpi ma che non indica l’attuale stato di positività.

Sfruttando un’analisi di sangue capillare è quindi possibile effettuare uno screening veloce per identificare la progressione epidemiologica della malattia ma non il rischio di contagio.

Il campione di sangue messo a contatto con il reagente può manifestare una linea colorata che può essere indicativa della presenza di IgG o di IgM.

Tenendo conto che le IgM compaiono alcuni giorni dopo l’inizio della malattia per poi scomparire, mentre le IgG sono persistenti, il test sierologico rapido può essere utilizzato per differenti finalità.

A differenza del test molecolare, questo indica soltanto l’avvenuto contatto del soggetto con il Coronavirus, utile per monitorare le guarigioni e l’andamento epidemiologico della pandemia.

Un aspetto di notevole interesse ai fini del contenimento pandemico è quello di stabilire quanto dura l’immunità al Covid-19, ovvero per quanto tempo gli anticorpi riescono a proteggere il paziente da un nuovo eventuale contagio.

Secondo una recente ricerca scientifica effettuata congiuntamente presso l’Imperial College e l’Università di Padova, esisterebbe una risposta immunitaria per il Covid-19 moderatamente prolungata.

Questi dati confermerebbero che gli anticorpi prodotti in seguito al contatto con il germe potrebbero persistere per almeno dieci mesi, anche se attualmente non ci sono certezze a riguardo.

La durata dell’immunità da Covid-19 costituisce una delle questioni fondamentali su cui si basa anche la strategia vaccinale attuata da molti paesi.

Alcuni studi hanno rilevato che una significativa risposta anticorpale ha una durata che non supera i cinque mesi mentre altre indagini hanno abbassato questo tempo a soli tre mesi, soprattutto per quanto riguarda soggetti fragili come anziani o malati cronici.

Tra i vari fattori che condizionano la durata dell’immunità nei confronti di questo patogeno, c’è la modalità di contatto con il virus, poiché in alcuni casi i pazienti che si sono contagiati in maniera più potente e che hanno sviluppato quindi patologie gravi, sono anche caratterizzati da un’immunità più efficace e durevole.

In base a uno screening su un campione di popolazione, si è dedotto che esiste probabilmente una specie di “ombrello protettivo” della durata di circa un anno per chi ha contratto la malattia anche in condizioni di asintomaticità, ma con una produzione elevata di immunoglobuline.

3. Test antigenici

I test antigenici costituiscono una classe di analisi completamente a sè stante, infatti mentre i test molecolari ricercano materiale costitutivo del virus e i test sierologici ricercano le immunoglobuline, quelli antigenici devono evidenziare la presenza di antigeni, considerati come materiale estraneo all’organismo ospite.

La positività o negatività di un test antigenico funziona come un segnale on/off, che consente di stabilire soltanto la presenza di strutture biologiche non compatibili con l’organismo.

Si tratta di prove rapide, che garantiscono un risultato attendibile e praticamente immediato, a costi contenuti ed effettuabile su un campione di saliva.

Il principale svantaggio di queste prove è la non assoluta affidabilità, che comunque è prevedibile tenendo conto della velocità di esecuzione.

Bisogna tenere presente che in molti casi l’esigenza principale rimane la rapidità di esecuzione, per cui è necessario servirsi di metodi in grado di identificare tempestivamente la positività al virus.

Tali condizioni sono indispensabili soprattutto per l’alta richiesta diagnostica collegata alla diffusione della pandemia.

Il test antigenico per Covid-19 è un’analisi di tipo qualitativo basata sulla ricerca degli antigeni del virus, la sua esecuzione prevede la raccolta di un campione di saliva o di secrezioni mucose, esattamente come nel caso del tampone.

A differenza di esso però questo test non è in grado di identificare l’RNA virale ma unicamente alcune componenti del virus; si tratta di proteine presenti sul nucleo-capside.

Il tempo di esecuzione è compreso tra 30 e 60 minuti a seconda del kit di laboratorio che viene utilizzato, pertanto questa analisi viene considerata uno strumento strategico necessario per campagne di screening, soprattutto in particolari situazioni come negli aeroporti, nelle stazioni o tutte le volte in cui si presenti l’esigenza di monitorare elevati numeri di persone.

Il punto di forza dei test è quindi la rapidità di esecuzione mentre lo svantaggio è collegabile alla minore specificità degli esiti.

Il loro meccanismo d’azione prevede l’impiego di anticorpi specifici, che possono legarsi agli antigeni virali.

Basandosi sull’attività di anticorpi monoclonali o poli-clonali, vengono evidenziate porzioni proteiche delle molecole S (spike) oppure N
(nucleo-capside).

Il principio di base di questi test è quindi costituito da specifiche reazioni antigene/anticorpo, rese visibili ad occhio nudo mediante un’apparecchiatura facilmente utilizzabile anche non in laboratorio o ambiente ospedaliero.

Si tratta di macchinari POCT (point of care) che prevedono la raccolta di un campione biologico mediante un bastoncino ovattato che penetra nelle narici fino ad arrivare al rinofaringe.

La procedura di prelievo è del tutto analoga a quella del tampone, mentre le modalità di esecuzione sono differenti.

Infatti il test molecolare consente di evidenziare anche piccole tracce di acido ribonucleico servendosi del già citato metodo di amplificazione, invece il test antigenico identifica le proteine del genoma.

L’utilità dei test antigenici è comunque elevata poiché forniscono risultati in tempi brevissimi permettendo un rapido monitoraggio di eventuali contagi e consentendo un tempestivo isolamento degli ammalati.

Grazie alla loro semplicità di esecuzione, possono essere eseguiti anche da personale non specializzato, aumentando quindi la probabilità di identificare persone asintomatiche ma contagiose.

È chiaro che le misure preventive contro il patogeno continuano ad essere la risorsa principale per evitare la diffusione della pandemia e proprio per questo motivo l’impiego dei test antigenici può fare la differenza.

Il test antigenico è utilizzabile anche per identificare le persone asintomatiche che come è noto costituiscono uno dei nodi cruciali della diffusione del contagio.

Il loro impiego è finalizzato alla realizzazione di programmi di screening, applicabili tutte le volte in cui i test molecolari non sono disponibili per l’elevata richiesta sanitaria.

Tale soluzione diventa discriminante in caso di contact tracing, anche tenendo conto di una probabile e successiva analisi di tipo molecolare.

Il test antigenico, come accennato, offre soltanto una risposta on/off, secondo cui il soggetto è positivo o negativo alla presenza di antigeni.

I risultati che si ottengono possono essere di vario tipo, e precisamente:
• risposta negativa,
il soggetto non è entrato a contatto con il virus, oppure la percentuale di antigeni è inferiore a quella riscontrabile dal test, oppure il campione non è stato prelevato correttamente. Pertanto un risultato negativo non esclude del tutto l’ipotesi di un’infezione in atto da Coronavirus per cui tale risultato dovrebbe sempre essere confermato dal tampone;
• risposta positiva,
si verifica quando il soggetto è portatore di antigeni e quindi è ammalato, anche se asintomatico. Anche in questo caso la diagnosi deve essere confermata dal test molecolare.

Allo stato attuale i dati disponibili sui test antigenici sono del 70% per la sensibilità e dell’85% per la specificità; sono valori piuttosto significativi che comunque non escludono la necessità di approfondire meglio la condizione patologica del paziente.

Clinicamente un antigene è una molecola che viene riconosciuta come estranea dall’organismo ospite, e che, nella maggior parte dei casi, stimola una reazione anticorpale.

Questa risposta immunitaria dipende dal fatto che l’antigene viene considerato pericoloso e quindi da eliminare.

L’antigenicità può essere sfruttata, come appunto nel caso degli omonimi test, per identificare la presenza di materiale biologico anomalo, come i virus che, non essendo dotati di vita propria e autonoma, devono necessariamente sfruttare le risorse dell’ospite.

Questo comportamento, se da un lato risulta estremamente svantaggioso per chi viene infettato, d’altro lato permette di scoprire la presenza di organismi estranei.

I test antigenici sfruttano appunto l’estraneità delle proteine del capside, che devono però essere evidenziate prima che si inneschi la reazione anticorpale.

Infatti, dopo la formazione del complesso antigene-anticorpo, il test antigenico non è più utile, e bisogna utilizzare quello sierologico.

Impieghi dei test per Covid-19

In base alle differenti caratteristiche funzionali dei test per identificare la presenza del Covid-19, è possibile discriminare il loro impiego.

Quando è necessario sfruttare il fattore tempo, in quanto bisogna identificare con tempestività le persone infette, la scelta d’elezione è senza dubbio quella del test antigenico che, grazie alla sua rapidità d’esecuzione, permette di scoprire la presenza del virus .
Come accennato, questa prova deve precedere il tampone naso-faringeo.

Quando esiste già una diagnosi di positività e diventa opportuno monitorare l’andamento della malattia, si procede con il test sierologico, da ripetere in maniera sequenziale, per identificare la presenza di IgG e di IgM.
La carica anticorpale compare solitamente in quinta giornata, per poi rimanere, sotto forma di memoria immunitaria, per sempre.

Il test molecolare rimane comunque l’analisi più affidabile, in quanto ricerca materiale biologico del virus, confermando inequivocabilmente la sua presenza.
Le tempistiche di esecuzione del tampone sono maggiori, ma l’attendibilità è massima.

Il metodo di procedere nella scelta di uno dei tre test dipende ovviamente dalle singole esigenze operative.

In generale i protocolli diagnostici prevedono l’impiego del tampone come test d’elezione, magari utilizzando la modalità rapida quando è indispensabile velocizzare la procedura, che comunque deve essere confermata, in un secondo tempo, dal test classico.

Il ricorso alle prove sierologiche è raccomandato per finalità epidemiologiche, per seguire la progressione della patologia e la sua evoluzione, soprattutto in rapporto al contact tracing.

È chiaro che la sensibilità e la precisione che caratterizzano questa analisi sono fattori estremamente qualificanti al fine della diagnosi, che risulta comunque più tardiva.

Tutti i test sono quindi efficaci e utili, e il loro impiego viene stabilito selettivamente in base ai differenti obiettivi da raggiungere.

Il presupposto fondamentale rimane comunque quello di non sottovalutare mai la presenza di sintomi sospetti, poiché il Covid-19 è una patologia ancora in parte sconosciuta, che si può combattere soprattutto arginando i contagi.

Tenendo conto del fatto che una gran parte di persone vengono contagiate da asintomatici, si deduce facilmente quale sia l’importanza di un corretto screening diagnostico.

L’elevata contagiosità, le continue mutazioni e le possibili sovra-infezioni batteriche sono altrettanti fattori responsabili della diffusione di questa pandemia, che può essere affrontata efficacemente anche utilizzando adeguatamente i test diagnostici.