Il Coronavirus
Identificato con la sigla SARS-CoV-2 in quanti il virus è stato identificato come strettamente collegato a quello responsabile dell’epidemia di SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave) che si verificò in Cina tra il 2002 e il 2003, l’attuale Coronavirus è un germe patogeno altamente pericoloso che si è diffuso in tutto il mondo.

La famiglia dei coronavirus è particolarmente vasta e comprende microrganismi caratterizzati da un capside avente appunto l’aspetto di una corona, che li rende identificabili con facilità.
Al microscopio elettronico essi infatti presentano un bulbo frangiato formato da peplomeri, elementi proteici indispensabili per il movimento del virus.
Si tratta di un virus a RNA che colpisce le vie respiratorie e che si distingue per una capsula di dimensioni comprese tra 80 e 160 nm. di norma presenti negli animali, ma che in alcuni casi infettano anche l’uomo (zoonosi).
Questi virus sono stati responsabili di tre epidemie: SARS (2002-2003), MERS (2012-2013) e CoVid (2020).
I sintomi respiratori esordiscono come un banale raffreddore, con naso chiuso, mal di gola, tosse, febbre piuttosto elevata (38/39 gradi), cefalea, infiammazione delle mucose e malessere generalizzato.
Nella maggior parte dei casi tale stato morboso tende a risolversi senza problemi e nel giro di qualche giorno la sintomatologia si attenua fino a scomparire.
Quando invece subentrano complicazioni, lo stato del paziente risulta estremamente compromesso in quanto vengono coinvolti gli alveoli polmonari che mostrano una progressiva degenarazione fibrotica.
È una polmonite virale molto grave poiché non esistono farmaci specifici e quindi non può venire curata e pertanto tende a espandersi a zone sempre più estese del parenchima polmonare.
Nel dicembre 2019, presso Wuhan (Cina) si sono manifestati i primi casi di una forma di polmonite mortale riconducibile a una nuova tipologia di Coronavirus che in precedenza non aveva mai contagiato l’uomo.
Da allora la patologia, altamente contagiosa, si è trasmessa in tutto il mondo, trasformandosi in una vera e propria pandemia che sta causando un elevatissimo numero di vittime.
Modalità di trasmissione del coronavirus
Appartenente al gruppo dei Torovirus (famiglia Coronaviridae), questo agente infettante contiene un genoma a singola elica formato da RNA.
Le modalità di trasmissione tra persona e persona avvengono in due modi:
- inalazione;
- contatto fisico.
- Inalazione
Quando un soggetto malato starnutisce, tossisce, ma anche semplicemente respira oppure parla, emette goccioline volatili infette che possono essere inalate da chi si trova a respirare quell’aria.
È la modalità di trasmissione più comune e quella maggiormente diffusa, responsabile dell’incredibile vastità del contagio che si sta verificando in tutto il mondo.
Uno dei principali problemi collegati a questa modalità di trasmissione è quella della carica infettante presente anche su individui asintomatici, che quindi circolano liberamente tra gli altri emettendo nell’aria particelle altamente contagiose.
- Contatto fisico
Il contatto fisico si verifica tutte le volte in cui le mani toccano superfici infettate dal virus sulle quali esso è in grado di resistere per molte ore se non addirittura giorni.
Questa situazione può riguardare qualsiasi genere di substrato, ma in particolare il metallo (maniglie, pulsanti, posate, ecc.) oppure materiali plastici.
Si tratta di una forma indiretta che può riguardare anche liquidi organici del paziente, come feci o altri substrati infetti con si viene accidentalmente in contatto.
Il periodo d’incubazione intercorrente tra l’esposizione all’agente infettante e la comparsa dei sintomi varia da 1 a 14 giorni, anche se nella maggioranza dei casi esso si attesta sui 5-7 giorni.
In questo lasso di tempo i soggetti apparentemente sani, ma già colpiti dal virus, sono già contagiosi e quindi in grado di trasmettere la malattia tramite le modalità sopra esposte.
tenendo conto che non esiste una terapia specifica contro il Coronavirus responsabile della pandemia attualmente in corso e che non esiste neppure una profilassi vaccinale, l’unico mezzo per contenere i contagi rimane la prevenzione.
Secondo le linee guida emesse dall’OMS è indispensabile porre estrema attenzione al lavaggio delle mani in quanto il contatto indiretto costituisce una delle modalità più pericolose di trasmissione.
Infatti il virus rimane attivo sulla superficie cutanea e, in caso di contatto con occhi, naso o bocca, può penetrare con facilità nell’organismo.
Un altro efficace mezzo di contenimento dei contagi è rappresentato dalla mascherina antivirus, che, se utilizzata correttamente, riesce a proteggere le narici (vie aeree) e la bocca (via orale).
L’importanza della mascherina antivirus
Se usate in maniera scorretta, le mascherine sono inefficaci e quindi è necessario conoscere le loro caratteristiche per poterne fare un impiego utile ed efficace.
Anche se le linee guida ne raccomandano l’utilizzo soltanto nei casi in cui non sia possibile mantenere le distanze di sicurezza con altri individui (almeno 1 metro), è comunque consigliabile indossarle tutte le volte in cui ci si trova in un ambiente frequentato da altre persone.
Mettersi la mascherina mentre si cammina in un luogo deserto, oppure si sta in automobile senza altri passeggeri viene considerato inutile.
Per essere efficaci, questi dispositivi devono essere contrassegnati con il marchio CE, indicante la conformità ai requisiti essenziali di sicurezza.
È opportuno che esse vengano indossate da chi presenta una sintomatologia da raffreddamento (come tosse, starnuti o mal di gola) e da tutti coloro che, per esigenze lavorative, si trovano a contatto con il pubblico per lungo tempo.
Un fattore discriminante di notevole importanza per il contagio è infatti rappresentato dalle tempistiche di contatto che, se inferiori a 15 minuti, non vengono valutate come significative in quanto la carica infettante a cui si rimane esposti non è sufficiente per la trasmissione del virus.
Tipi di mascherine antivirus
Ci sono in commercio vari tipi di mascherine antivirus cerchiamo di fare un pò di chiarezza:
Le mascherine chirurgiche
Si tratta di mascherine di forma rettangolare realizzate con tessuti sanitari protettivi che non sono in grado di filtrare completamente l’aria, un’opzione presente soltanto in quelle dotate appunto di filtro.

Questi dispositivi sono dotati di due elastici laterali da infilare dietro ai lobi auricolari il cui ruolo è quello di mantenere la mascherina ben adesa al viso, in modo tale da rivestire il naso e la bocca.
La maniera corretta per indossarle prevede che esse vengano stese in senso verticale dalla base degli occhi fino a tutto il mento, sotto al quale devono aderire perfettamente.
È chiaro che se rimangono degli spazi aperti dovuti alla errata modalità di impiego, la loro efficacia si annulla del tutto.
Esistono differenti modelli di questi ausili che comunque devono avere dimensioni standard di 9×18 centimetri, dove 18 centimetri rappresentano la larghezza, ovvero la misura della porzione orizzontale del supporto che deve coprire lo spazio da guancia a guancia.
I 9 centimetri invece costituiscono la parte verticale che deve venire aperta (e quindi arrivare fino a circa 15 centimetri) per distendersi tra la base degli occhi e il mento.
Per consentire questa operazione le mascherine sono prodotte con una serie di pieghe del tessuto, cucite soltanto ai lati, ma libere al centro, e quindi facilmente apribili.
Il materiale costitutivo fa parte della categoria del “tessuto non tessuto” (poliestere oppure polipropilene) e deve essere prodotto in ottemperanza alla normativa UNI EN 14683/2019 che prevede i seguenti requisiti:
- traspirabilità;
- filtrazione batterica;
- filtrazione di particelle microbiche;
- resistenza a spruzzi di liquido.
Esse sono realizzate con 2 o 3 strati di questo materiale e indossandole il soggetto riceve una protezione parziale in quanto la filtrazione è efficace per polvere e batteri, ma non per i virus, che possono essere eliminati unicamente attraverso appositi filtri.
Il loro strato esterno è formato da un materiale “spun bond” che trova largo impiego nel settore industriale, completato da un trattamento idrofobo finalizzato ad aumentarne la resistenza.
Lo strato intermedio è costituito da un materiale realizzato mediante tecnologia “melt blown” che si caratterizza per la presenza di microfibre con diametro compreso tra 1 e 3 micron, deputate alla funzione filtrante vera e propria.
Quando presente, il terzo strato a contatto con il viso svolge unicamente un’azione protettiva.
I materiali con cui vengono realizzate è dunque impermeabile alle goccioline liquide, ma lascia passare l’aria con cui si respira.
Dato che non aderiscono perfettamente al volto, esse possono lasciar entrare il virus dalle fessure laterali oppure da quelle superiori (il naso le mantiene leggermente sollevate) o inferiori (il mento spesso non sigilla l’orlo).
Questi dispositivi devono essere obbligatoriamente indossati da chi, essendo affetto da sintomi respiratori, deve evitare di spargere nell’atmosfera le sue goccioline infette.
La loro capacità filtrante è completa verso l’esterno (quasi 95%), ma ridotta verso l’interno (20%), proprio a causa dell’imperfetta aderenza al volto.
Le mascherine filtranti
Si tratta di supporti sanitari forniti di uno specifico filtro che, a seconda della tipologia, si distinguono in: Ffp senza valvola e Ffp con valvola.

- Ffp senza valvola
- Ffp 1
che prevedono il 70% di filtrazione dell’aria - Ffp 2
che garantiscono il 94% di filtrazione dell’aria; - Ffp 3
che assicurano il 99% di filtrazione dell’aria.
La filtrazione non risulta mai al 100%.
Perché siano efficaci è indispensabile che esse siano perfettamente aderenti al volto e quindi che ostacolino in in certo modo anche l’entrata e l’uscita dell’aria durante la respirazione, motivo per cui non è consigliabile indossarle per più di 4 ore.
Ffp (Filtering Face Piece) è la sigla che indica complessivamente tutte le mascherine filtranti in grado di proteggere l’apparato respiratorio da particelle di polvere e areosol inalabili, tra cui anche quelli contenenti il virus.
Realizzate di norma con più strati di materiale idoneo, queste mascherine riescono a impedire l’ingresso di molecole con dimensioni fino a 0,6 millimicron.
I droplets (goccioline di saliva miste ad aria) vengono emessi normalmente durante ogni atto respiratorio e quando si parla e in quantità molto più cospicue con starnuti o colpi di tosse, che possono infettare anche a 4 metri di distanza.
Esse sono solitamente costituite da tre strati, che sono:
- strato esterno
in grado di impedire l’ingresso di particelle più grandi; - strato medio
filtra le particelle di minori dimensioni che non riescono ad attraversare il tessuto melt blown; - strato interno
svolge la finalità di proteggere la maschera dal vapore prodotto con la respirazione e inoltre mantiene inalterata la forma del dispositivo.
La filtrazione risulta efficace per particelle fino a 10 micron di diametro, sotto a cui entra in azione l’effetto elettrostatico derivante dalla carica delle fibre che sono in grado di attirare particelle anche piccolissime.
In base alle differenti tipologie (Ffp 1, Ffp 2, Ffp 3), la protezione risulta sempre maggiore, fermo restando che proteggono in uscita ma non in entrata.
- Ffp con valvola
Si caratterizzano per la presenza di una valvola che protegge chi le indossa, ma non gli altri in quanto da essa fuoriesce l’aria espirata e quindi, se indossate da chi è infetto, consentono il contagio.
La respirazione è più agevole rispetto a quelle senza valvola e pertanto possono venire indossate anche a lungo senza grossi disagi.
Si distinguono in:
- Ffp 1
con una capacità filtrante in entrata del 72%; - Ffp 2
con una capacità filtrante del 92%; - Ffp 3
proteggono quasi completamente (98%).
Al contrario, in uscita la protezione è del 20% e quindi il loro impiego è sconsigliato al di fuori dell’ambiente ospedaliero dato che le persone infette (soprattutto gli asintomatici) possono contagiare gli altri.
Un uso indiscriminato di questi presidi sanitari non è soltanto sconsigliato, ma anche dannoso e dovrebbe essere regolamentato con precise normative da parte delle autorità competenti.
La “corsa alle mascherine” è un fenomeno estremamente rischioso dato che impedisce una loro regolare distribuzione, in particolare rivolta al personale sanitario oppure a chi, per motivi professionali, si trova continuamente a contatto col virus.
Le mascherine chirurgiche sono rigorosamente monouso e tutti i suggerimenti di lavaggio, di disinfezione oppure anche di trattamenti con temperature elevate non hanno nessun fondamento scientifico e pertanto dovrebbero essere evitati.
Inoltre bisogna tenere presente che queste manovre possono danneggiare il tessuto e quindi deteriorarne l’efficacia.
Le mascherine Ffp (1,2 e 3) possono invece venire riutilizzate, ma soltanto se i materiali costitutivi non risultano usurati né danneggiati in nessun modo.
I trattamenti rigenerativi prevedono:
- esposizione a temperature superiori a 60°C, possibilmente in ambiente umido;
- trattamento con raggi UV;
- impiego di soluzioni idroalcoliche al 70%.
Sulla validità di tali operazioni non esiste una sicura linea guida, anche se l’impiego di miscele idroalcoliche sembra essere il trattamento più promettente per la migliore penetrazione di tutti gli strati della mascherina.
In ambito domestico, per riutilizzare questi dispositivi, è possibile trattarli con un disinfettante spray, con lampade a raggi UV, oppure con il vapore del ferro da stiro, anche se con un margine di validità limitato.
In mancanza di qualsiasi tipo di mascherina, è opportuno coprirsi naso e bocca con un fazzoletto o una sciarpa che comunque devono essere lavati con acqua calda e detergente dopo ogni utilizzo.
Secondo le linee guida dell’OMS, è indispensabile associare a un corretto uso della mascherina altre due precauzioni, che sono il frequente lavaggio delle mani e il distanziamento sociale.
È inoltre necessario conoscere esattamente le caratteristiche delle varie mascherine.
Quelle chirurgiche, come accennato, impediscono la contaminazione in uscita, riducendo l’emissione di agenti infettivi da naso e bocca, sia da parte di un paziente con sintomi clinici conclamati che di un portatore asintomatico.
Le mascherine filtranti, con o senza valvola, che devono portare la dicitura UNI EN 149-2009, sono efficaci per il flusso aereo in entrata.
La mascherina Ffp1 garantisce un primo livello di protezione delle vie aeree in ambienti contenenti particelle in sospensione.
Esse sono dotate di una capacità filtrante che arriva fino al 70-75% di molecole sospese la cui concentrazione non deve superare 4,5 volte il valore soglia previsto dalla normativa.
Esse trovano largo impiego nel settore industriale, edilizio e sanitario, quando non siano richieste prestazioni specifiche.
Le mascherine Ffp2 garantiscono un secondo livello di protezione delle vie respiratorie e vengono consigliate in ambito sanitario a personale esposto a rischi bassi o moderati.
Essendo in grado di proteggere l’apparato respiratorio da polvere e aerosol, la cui concentrazione arriva fino a dodici volte il valore soglia, vengono classificate con una capacità filtrante compresa tra il 90 e il 94%.
Le mascherine Ffp3 sono utilizzate dagli operatori sanitari che assistono pazienti infetti o potenzialmente infetti e che quindi risultano esposti a un rischio elevato: esse riescono a proteggere fino a 50 volte il valore limite previsto dalla normativa, svolgendo un’attività filtrante che arriva fino al 98-99%.
Le mascherine Ffp con filtro vengono suddivise in tre categorie in base all’efficienza dei loro dispositivi: la classe Ffp1 è in grado di fornire protezione da polveri di maggiori dimensioni, mentre quelle Ffp2 e Ffp3 risultano efficaci anche per aerosol e particelle liquide.
Si tratta di filtri anti-particolato estremamente specializzati che sono dotati anche di una valvola in grado di assicurare un maggiore comfort respiratorio quando la mascherina viene utilizzata per lungo tempo.
In conclusione, la mascherina chirurgica (che può essere a 3 o a 4 strati in TNT (tessuto non tessuto) se usa e getta, oppure di tessuto per abbigliamento sanitario se lavabile) serve al chirurgo per evitare che goccioline di sudore o di muco dal naso o di saliva dalla bocca finiscano nel campo operatorio, in particolare nella ferita operatoria aperta
.Serve anche al paziente affetto da virus per non diffonderlo con gli stessi meccanismi del chirurgo. Il paziente affetto da virus non deve assolutamente usare altra mascherina diversa da quelle chirurgiche e/o non filtranti perché favorirebbe la diffusione del virus.
Chi, invece, è sano e a rischio contagio, in particolare i sanitari, deve proteggersi usando mascherine filtranti di tipo FFP3 o, al limite FFP2, ma, in questo caso, mantenendo una distanza maggiore.In sintesi, la chirurgica protegge in uscita (infatti NON è un DPI (Disposizione di Protezione Individuale), la filtrante in entrata (infatti è un DPI (Dispositivo di Protezione Individuale).